Storia del primo Milan Club d’Italia: "Ho colorato di rossonero la Parabiago del boom"

Adriano Nebuloni è stato uno dei fondatori: ora la sede al 'Circolino' dopo anni di storia è a rischio chiusura

Tifosi in partenza per seguire il club

Tifosi in partenza per seguire il club

Parabiago (Milano), 27 settembre 2020 - Sarà un caso ma Adriano Nebuloni non è ancora passato davanti al numero 20 di via Quattro Novembre. Un grande cartello con la scritta “Affittasi” campeggia da settimane sulla saracinesca malinconicamente abbassata dal bar trattoria Girasole. Una parola, che se non interverranno fatti nuovi, potrebbe essere l’epitaffio per un locale che appartiene alla storia di Parabiago: quello che per generazioni è stato il Circolino. Non solo. Sparirebbe anche la sede del primo Milan Club d’Italia. Storia di cinque ragazzi, uniti dal collante dell’amicizia, della frequentazione del Circolino, dalla fede rossonera: Silvano Marazzini, Angelo Nebuloni detto “Cocoino”, Giuseppe Venini, Ambrogio Borsani, Adriano Nebuloni. Adriano, 81 anni fra qualche giorno, è l’ultimo superstite di quei padre fondatori.

Primi anni ‘60. Il boom è agli albori, non tutti dispongono dell’automobile. I fortunati la mettono a disposizione per seguire il Milan, altrimenti si va in pullman e anche in bicicletta se la squadra gioca a San Siro e il tempo lo permette. L’idea del Club viene ai cinque amici mentre viaggiano in pullman per un Sampdoria-Milan. La bozza dello statuto e l’atto costitutivo hanno la data del 15 febbraio 1962. Gli inizi non sono facili. "Il Club – ricorda Nebuloni – è stata una cosa eccezionale. Non c’erano precedenti in Italia per nessuna squadra. Abbiamo battuto sul tempo quelli di Desio che avrebbero voluto essere i primi. Il segretario della società era Bruno Passalacqua, faceva tutto, non si muoveva foglia che non volesse. Siamo stati da lui. Non ci ha dato molto ascolto.

“Sono cose da inglesi“, diceva. Dopo tre o quattro incontri, abbiamo chiesto di parlare con il nuovo presidente, Felice Riva, subentrato ad Andrea Rizzoli. Ci ha ascoltato. Forse ha giocato anche il suo legame con Parabiago per via dello zio Raffaele Lampugnani. “Provate, provate“, ci ha detto. È stata la svolta. Siamo stati chiamati. Abbiamo avuto l’autorizzazione. Ci hanno dato tutti i gadgets possibili. La cosa più bella è stata una fotografia enorme della squadra che aveva conquistato la Coppa dei Campioni a Wembley. Era così grande che non ci stava nella mia ‘1100’. L’abbiamo messa sul tettuccio, e siamo tornati tenendola tutti con una mano fuori dal finestrino...".