Tagli agli stipendi, trecento euro in meno ogni mese

Il salasso al quale sono sottoposti da un anno e mezzo oltre 50mila operai e impiegati del territorio

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Trecento euro netti al mese. È il prezzo che circa 50mila lavoratori lecchesi e comaschi in cassa integrazione stanno pagando alla crisi economica. È un conto molto salato per chi mediamente guadagna meno di 21mila euro all’anno. Significa che la loro busta paga è più leggera del 20% e significa una perdita complessiva in stipendi di quasi 45 milioni di euro. Ad esprimere forte preoccupazione, dati alla mano, per la situazione è Salvatore Monteduro, segretario generale della Uil del Lario delle province di Como e Lecco. "Resta alto il numero delle lavoratrici e dei lavoratori in cassa integrazione nel territorio lariano – spiega il sindacalista intervenuto in occasione dell’ultima riunione del Consiglio confederale -. Sono oltre 53.000 nel solo mese di giugno. La preoccupazione per il futuro loro e delle loro famiglie è forte perché pagano già un prezzo elevato per la perdita di parte della retribuzione, quantificata in 284 euro netti al mese su stipendi annui di 20.980 euro lordi". Mediamente nell’arco del primo semestre del 2021 sono stati 25.977 i dipendenti in cassa nelle due province che in tutti ci hanno rimesso oltre 44 milioni di euro che hanno e pesato e pesano sui bilanci domestici ma anche sui consumi.

E se non ci fossero stati e non ci fossero gli ammortizzatori sociali i conti sarebbero ancora più disastrosi. "Tutto ciò, fa percepire quanto sia importante il ruolo che hanno svolto gli ammortizzatori sociali per la tenuta e coesione sociale e quanto sia indispensabile pervenire nel più breve tempo ad una loro riforma", prosegue il segretario generale della Uil del Lario. Fortunatamente si colgono importanti segnali di ripresa, specie nel settore del manifatturiero e del turismo. Si prevedono inoltre 120 nuove assunzioni imminenti tra Lecchese e Comasco, sebbene non sempre gli imprenditori riescano a trovare persone da reclutare. "Spesso dipende da salari troppo bassi tra i 400 e i 700 al mese e da lavori di appena 12 ore settimanali che stanno generando i cosiddetti working poor", mette però in chiaro Monteduro.