Afghanistan, l'arma segreta dei talebani e i loro nuovi amici

Cosa cambia nel Paese con il ritorno al potere degli studenti coranici dopo vent'anni

Combattenti talebani

Combattenti talebani

L'avanzata surreale dei talebani verso Kabul, che ha visto un Paese cadere in dieci giorni senza combattere, nasconde un'arma segreta, di cui i mujaheddin non disponevano vent'anni fa. La diplomazia. Sul fronte interno, ma soprattutto internazionale.Tutte le città del Nord, infatti, poi Herat, Kandahar, Mazar-i-Sharif e la stessa capitale, si sono offerte agli studenti coranici quasi in totale assenza di combattimenti. Vincente è risultata infatti la strategia della persuasione: cedete le armi e nessuno si farà male. Arrendetevi e avrete salva la vita. Una nuova linea resa ancor più evidente dopo la conferenza stampa dei nuovi padroni dell'Afghanistan, concessa ieri in esclusiva ad Al Jazeera. In cui Abdul Ghani Baradar, genero del mullah Omar, tramite il suo portavoce rassicurava il mondo con toni concilianti: "Da oggi faremo di tutto per riportare la serenità e lo sviluppo nella vita del popolo afghano".

Fiumi di denaro

Ci sarebbe poi da chiedersi come mai un esercito di 300mila effettivi, finanziato con 930 miliardi di dollari in vent'anni, abbia ceduto il passo a una milizia di 75mila guerriglieri, uno contro quattro insomma, ma qui le risposte si perdono nel vuoto. Di certo, l'enorme corruzione nel Paese ha disperso il fiume di denaro americano in mille rivoli che poco avevano a che fare con la difesa. Come dimostra la comoda fuga del presidente Ashraf Ghani in Tajikistan, ben deciso a non fare la fine di Najibullah, il suo predecessore alleato dei sovietici, ucciso per strada nel settembre del '96, quando i talebani presero Kabul.

Il ritorno della Shari'a 

Ma veniamo al fronte estero, quello che più conta per capire perché da ieri la gente affolla l'aeroporto in cerca di una fuga impossibile, perché le bambine di dieci anni dovranno trovarsi un marito, le donne non potranno più studiare, lavorare e nemmeno fare la spesa senza la compagnia di un maschio di famiglia. Un incubo paragonabile a quello delle popolazioni finite sotto il nazismo o i precedenti Stati Islamici, prima l'emirato talebano afghano negli anni '90, poi il Califfato in Siria e in Iraq, sotto le bandiere nere dell'Isis. E cominciamo dalle poche certezze che abbiamo. La prima: le uniche ambasciate rimaste aperte a Kabul sono di Qatar, Pakistan, Iran, Cina, Russia, Turchia e Arabia Saudita. Di fatto, il nuovo fronte anti-americano, anche se con qualche distinguo.

I nuovi amici

La Cina, certo, ha accolto i talebani con grandi onori a Pechino solo qualche settimana fa, concordando i dettagli della futura via della seta, mentre il Pakistan, sulla carta alleato degli Usa, arma i mujaheddin fin dai tempi dell'invasione sovietica, quando al fianco dell'Isi (i suoi servizi segreti) c'era la Cia. Duplice dettaglio: benché islamisti, talebani e Pakistan non hanno mai detto una parola sul genocidio della minoranza musulmana uigura in Cina, e certo non è un caso. Il Qatar, organizzatore dei prossimi mondiali di calcio, è il principale sponsor politico e forse economico del nuovo Emirato (come accadde per l'Isis). Anche qui siamo, sulla carta, in un'orbita filo americana, ma non a caso tutti i negoziati chiave, compreso quello in cui Trump firmò con i mujaheddin nel 2020 il ritiro delle truppe Usa da Kabul, si sono svolti a Doha. La Turchia, che sterminò i curdi in Siria dopo che questi ultimi avevano sconfitto Isis su tutto il Paese, si conferma un alleato occulto dell'integralismo islamico nell'area. Ma a differenza dell'Iran, che si compiace apertamente della palese waterloo americana, Erdogan usa toni bassissimi e soffusi, essendo membro chiave della Nato. Così come i sauditi, che con gli Usa fanno affari che non si possono compromettere. Diverso è il discorso della Russia. Sempre vigili ai confini nord del Paese per eviater sconfinamenti, con truppe schierate anche in territorio uzbeko, finora sono stati a guardare, Ma domani pomeriggio a Kabul l'ambasciatore russo è atteso dal leader talebano a Kabul. Come dire, la guerra fredda continua.

Gli Stati Uniti

Infine Joe Biden e la figuraccia. Non ultima quella di avere annunciato solo un mese fa che non ci sarebbe stata nessuna fuga in elicottero dalle ambasciate come a Saigon, perché i talebani erano quattro poveracci, mica come i guerriglieri vietnamiti. Ora Trump, ne chiede le dimissioni, incurante dell'umorismo involontario, poiché era stato proprio lui un anno fa a Doha a riconiscere come interlocutori i talebani e a firmare la resa, in cambio della rinuncia agli attentati. Un po' come l'accordo stato-mafia, conla differenza che qui è tutto alla luce del sole.

Il futuro

Conclusione: nel disastro generale dell'Occidente, la lezione apparente sembra quella secondo la quale la democrazia non si esporta con le armi. E l'epilogo parla chiaro. Ma dobbiamo almeno riconoscere che a Kabul e Herat, come in altre province remote, molte scuole e alcuni ospedali sono stati creati per gli afghani, anche dalla missione italiana. Così come erano nate le radio femminili e le donne erano tornate al lavoro e nelle università. Questo per dire che la guerra è stata cosa buona? No, Gino Strada aveva ragione. E la strettoia è evidente. Ma va almeno riconosciuto che, una volta lì, è stato fatto anche qualcosa di buono per i civili. Qualcosa che, quantomeno, non andava disperso. Ora è tardi per tutto. Gli americani sono fuori gioco, l'Afghanistan verrà sfruttato dai cinesi e dagli altri nuovi amici per le sue risorse naturali e i mujaheddin potranno intensificare la coltivazione dell'oppio e raffinare eroina per le piazze europee e non solo. Ma il vero dramma resta quello della popolazione, delle donne, anche giovanissime, che si sono viste condannare a una morte in vita senza sapere quale colpa espiare. Li abbiamo lasciati soli? Sicuramente in compagnia di una gruppo di nuovi amici, per i quali i diritti umani restano l'ultima delle stravaganze occidentali.