Neffa e l'album in napoletano: "AmarAmmore, amore e amarezza confinano"

Un disco in dialetto con Coez, Rocco Hunt e Livio Cori: l'artista salernitano si racconta

Neffa

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"Quando c’è l’amore c’è tutto... No, chell’è ‘a salute" diceva Massimo Troisi in “Ricomincio da tre”. Battuta celebre del grande schermo che Giovanni Pellino, pardon Neffa, prende in prestito per raccontare lo spirito agrodolce di “AmarAmmore”, l’album tutto in napoletano con cui torna a raccontarsi con una storica etichetta come Numero Uno, perché "Amore e amarezza spesso sono confinanti". Neffa, perché un album in napoletano? "Non è stato frutto di decisioni. Una sera di novembre in cui ero in vena di bilanci esistenziali m’è venuta di getto - già col titolo ‘AmarAmmore’ e alcune parole - questa canzone in napoletano. Poi, dopo due giorni, un’altra. Poi un’altra ancora. Alla quarta, ‘Si me salve tu’, mi sono detto: forse sto facendo un album napoletano…". Un disco in dialetto con tre ospiti: un napoletano come Livio Cori, uno salernitano come lei, Rocco Hunt, e uno di Nocera Inferiore, Coez, che però canta in italiano. "Livio non lo conoscevo, ma mentre scrivevo, mi sono innamorato di questa sua anima soul. Così gli ho proposto di scriverne una assieme. Ho finito la prima parte di questo lavoro i primi giorni di febbraio dello scorso anno. Mi sono accorto che non è l’artista ad influenzare la società come spesso si crede, ma piuttosto il contrario. Abito a San Lazzaro di Savena, alla periferia di Bologna, e ho vissuto il lockdown sul divano, ma come il carrozziere sotto casa mia ha riaperto la sua officina, ho riaperto anch’io il mio studio". E Coez? "Ho scritto trenta canzoni, di cui ventinove in napoletano e una in italiano dal titolo ‘Un posto al sole’, neanche a farlo apposta come la fiction girata sul Golfo. Il pezzo di Coez è un po’ la mia Stele di Rosetta, quello che racconta gli umori del disco un po’ in napoletano e un po’ in italiano". Un altro pezzo, “Catene”, è il trionfo dell’autotune. Pensando anche ai pezzi dell’ultimo Sanremo, non pensa che oggi ce ne sia in giro un po’ troppo? "È il suono dei tempi. Un po’ come se a metà degli anni Sessanta, dopo cinque anni di Bob Dylan, la gente si fosse chiesta: nella musica che gira intorno non c’è un po’ troppa chitarra acustica? Basta prestare attenzione a quello che accade in America per capire che ne avremo ancora per anni. Ma non mi sforzo di rincorrere il mondo nuovo, tant’è che avevo iniziato a lavorare con l’auto-tune già nel 2009 poi tre anni dopo l’ho lasciato. Ed ora l’ho ripreso". Cosa le rimane del duetto con Noemi al Festival di “Prima di andare via”? "L’inizio in salita della nostra esibizione. E pensare che ci avevano messi in scaletta per primi perché in prova eravamo andati forte. Una volta in trasmissione il segnale del mio microfono ha cominciato ad arrivare con un secondo di ritardo sulla musica, dando l’idea che andassi fuori tempo; cosa abbastanza assurda trattandosi di una mia canzone. Per fortuna nella seconda parte della canzone i tecnici sono riusciti a sincronizzare tutto. Alla fine della canzone, però, Amadeus avrebbe potuto dirlo che c’era stato un problema tecnico. Diciamo quindi che se questo disco è un bell’ allineamento di stelle, Sanremo è stato esattamente il contrario".