Longanesi, uomo scomodo nel paese del conformismo

Due corrosivi aforismi per descriversi. Il primo: “Sono un carciofino sott’odio”; il secondo: “Sono un conservatore in un paese in cui non c’è niente da conservare”. Ecco l'autoritratto di Leo Longanesi di GENNARO MALGIERI

Milano, 19 febbraio 2016 - DUE CORROSIVI aforismi per descriversi. Il primo: “Sono un carciofino sott’odio”; il secondo: “Sono un conservatore in un paese in cui non c’è niente da conservare”. Ecco l’autoritratto di Leo Longanesi. Insuperabile. In queste poche parole la sintesi della vita e dell’opera di un uomo che è riuscito a rappresentare al meglio il peggio del carattere italiano, non senza un intimo compiacimento nel far parte della razza degli “apoti”, come diceva Prezzolini, di coloro cioè che non se la bevono ed ai quali è difficile se non impossibile far credere ciò che non è. Come intellettuale, giornalista, scrittore, editore, inventore di riviste raffinate ed all’avanguardia, illustratore, agitatore di idee e scopritore di talenti, Longanesi nella sua pur breve vita (1905-1957) ha fatto di tutto, cominciando giovanissimo a stupire il mondo attorno a lui fino a conquistare platee di ammiratori, non meno che a farsi nemici anche tra coloro che gli erano stati amici. Una vita contro, insomma. Dispendiosa, giocata sul filo dell’intelligenza, del paradosso, della provocazione che, per quanto potesse destare indignazione, induceva chiunque venisse a contatto con lui a ritenere che v’era un altro approccio alla realtà oltre al conformismo imperante sotto questo o quel regime, in dittatura o in democrazia, nel Regno o nella Repubblica.

È così, cioè nella maniera più vera e realistica, lo rappresenta nella sua godibilissima e brillante biografia, il giovane Francesco Giubilei, che da intellettuale “irregolare” si è imbattuto in Longanesi restandone come folgorato, al punto di riprendere gli stilemi dello scrittore romagnolo e definirsi egli stesso, alla sua verdissima età, “conservatore”. Dagli esordi nel mondo del giornalismo alla fine, tra trionfi e delusioni coincisa con l’avventura del “Borghese” (una delle riviste più attraenti del Novecento) Longanesi è riuscito, come dimostra Giubilei, a non farsi mai ingabbiare. A costo di passare per incoerente e presentare le sue contraddizioni come virtù, riuscì sempre a sfuggire agli incasellamenti anche quando sembrava piegarsi all’ordine costituito. In realtà non gli premeva altro a Longanesi che di affermare una certa idea dell’Italia che pur viveva sotto la crosta dell’ossequio formale al potente di turno e delle mode che venivano accettate più per pigrizia che per convinzione. La sua idea di una nazione, per quanto “barbara”, come avrebbe detto l’amico-nemico Malaparte, ma pur sempre vitale al punto di reinventarsi con una velocità sorprendente, era quella borghese e conservatrice, vale a dire informata ai valori del galantomismo ed ad un senso di appartenenza che, nel fondo dell’anima popolare, comunque sopravvivevano. In “Omnibus” e nell’ “Assalto”, nell’”Italiano” e nel “Borghese”, nelle scelte editoriali e nelle avventure politiche Longanesi perseguì sempre e soltanto questo scopo: ricreare le condizioni morali, civili e culturali attorno alle quali ricomporre l’Italia migliore. FRANCESCO GIUBILEI - Leo Longanesi il borghese conservatore – Odoya