Covid, negozi di dischi come le librerie: "La musica è cultura, fateci riaprire"

Lettera al ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini dei titolari dello storico "Discomane" di Milano

Valeria Baldan, titolare de Il Discomane con il marito Flavio (Archivio)

Valeria Baldan, titolare de Il Discomane con il marito Flavio (Archivio)

Milano - I negozi di dischi? Vanno equiparati alle librerie e devono restare aperti anche in zona rossa. Perché sono luoghi di cultura e offrono cibo per la mente. Questo, in sostanza, il messaggio contenuto nella lettera scritta al ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini da Valeria e Flavio, gestori del Discomane, storico negozio indipendente milanese da anni attivo sull'Alzaia Naviglio Grande. Uno dei templi lombardi del vinile: non c'è appassionato di dischi che non abbia varcato almeno una volta il suo ingresso.

Noi, come le librerie

"Egregio Ministro Franceschini - si legge nel messaggio - ci rivolgiamo a Lei per chiederLe i motivi per i quali i negozi di dischi non possono stare aperti come tante altre categorie e quali motivi non fanno considerare la musica cultura equiparando i dischi ai libri, come avviene in tanti altri paesi del mondo. La musica è cibo per la mente e aiuta quanto un libro: in molte librerie esiste un reparto musica e noi stessi vendiamo libri a sfondo musicale o per didattica musicisti". Come i libri, poi, un buon disco può essere d'aiuto in un periodo tanto difficile, con le possibilità di svago ridotte dalle limitazioni disposte nel tentativo di contenere la pandemia. "La musica - proseguono Valeria e Flavio - aiuta a svagarsi soprattutto in un periodo buio come questo. Sicuramente nei negozi di dischi non si creano assembramenti, e allora perché siamo stati sempre penalizzati con la chiusura? Un disco di Beethoven o di Bob Dylan o dei Rolling Stones non è cultura? Eppure Dylan ha vinto un Nobel!”.

Un riferimento per gli appassionati

Del resto la più grande manifestazione italiana dedicata alla musica è andata in scena, anche se senza pubblico in sala. "C’è stato il festival di Sanremo - si legge nella lettera - durato ben cinque giorni, con altissime spese proprio perché la musica è ritenuta importante. Eppure non possiamo stare aperti per poter vendere i dischi dei cantanti in gara al Festival". Il settore non può certo stare a galla con lo streaming o con altri strumenti digitali. "Noi non abbiamo piattaforme digitali come i colossi del web, noi siamo negozi reali, non virtuali - prosegue l'urlo di dolore dei negozianti - Da noi si sceglie, si ascolta, si discute di musica e ci si arricchisce l’uno con l’altro. Esiste 18app, il Bonus Cultura dedicato ai giovani che possono acquistare libri, biglietti per concerti e dischi, ma ora ci avete dimenticato".

Il grido di dolore del settore

La musica, per altro, è stata accompagnamento quotidiano di una delle iniziative più gettonate nel corso del primo lockdown, l'anno scorso. "Si ricordi che sui balconi si cantava e non si declamavano libri - è la chiosa della lettera - Abbiamo bisogno che voi rivediate i motivi che ci hanno imposto e che ancora a tutt’oggi ci impongono di non aprire. Abbiamo bisogno che la nostra protesta arrivi alle sorde orecchie di chi ci impone la chiusura. Siamo pochi, ma determinati a difendere la nostra attività e perciò prendeteci in considerazione. La ringraziamo per l’attenzione che speriamo vorrà darci e confidiamo in una sua solerte e cortese risposta". La lettera aperta ha ricevuto il sostegno di numerosi altri esercenti.