Massimo Riella, caccia ai dieci complici che hanno coperto la fuga

Como, un mese per l’estradizione dalle prigioni del Montenegro. In Italia l’inchiesta prosegue. Sotto la lente una donna, già nei guai una coppia di amici

Massimo Riella

Massimo Riella

Gravedona ed Uniti (Como)  - Per il rientro in Italia di Massimo Riella è ormai chiaro che occorrerà attendere almeno un mese. Ma gli investigatori che si sono occupati di lui lungo difficili e lunghe settimane hanno comunque molto da fare in questi giorni: scoprire i nomi di chi ha dato aiuto all’evaso dopo il 12 marzo, il giorno in cui si allontanò dal cimitero dove era sepolta la madre, sulla cui tomba gli agenti della penitenziaria l’avevano scortata. Sotto la lente è finita almeno una decina di persone, tra cui certamente una donna con cui il quarantottenne avrebbe mantenuto un rapporto che non era di semplice amicizia. Persone che hanno provveduto ai suoi bisogni essenziali e quotidiani, prima di tutto il cibo, che gli è stato garantito per quattro mesi senza troppi affanni. Probabilmente anche alloggi sporadici, per trascorrere la notte quando il tempo e le temperature erano troppo punitive anche per lui, pur capace di adattarsi all’addiaccio senza troppi problemi, e grande conoscitore di tutte le baite ed edifici diroccati presenti sugli alpeggi dell’area dell’Alto lago.

Due persone , marito e moglie, sono già indagate per favoreggiamento - A.I., 50 anni e la moglie R.P., 43 anni – e hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagini a metà aprile: il giorno stesso dell’evasione di Riella, lo avrebbero accolto nella loro casa a Dosso del Liro, in Alto lago. Gli avrebbero dato una mano a sottrarsi alle ricerche degli agenti di polizia penitenziaria e dei carabinieri di Menaggio, nelle ore in cui la presenza delle forze dell’ordine nei boschi era più massiccia. Da quel momento in avanti, Riella non è mai stato solo, fino ad avere contatti utili a ricevere indicazioni sulle persone a cui rivolgersi in Montenegro per trovare alloggio, e per acquistare documenti falsi. Gli mancava solo quest’ultimo passaggio per riprendere il suo viaggio verso il Sud del mondo, con l’obiettivo di sparire dai radar.

Tutte persone che, per quanto abbiano cercato di essere attente, qualche traccia dei contatti con Riella l’hanno lasciata. Segni man mano colti dai carabinieri di Menaggio e dalla Polizia penitenziaria che a breve potrebbero chiamare a renderne conto i responsabili con un atto formale. Finché Riella è stato in mezzo a loro, infatti, ha avuto una vera e propria rete di protezione che gli ha garantito la latitanza, lontano dal carcere dove era in attesa di giudizio per un colpo ai danni di due anziani. Appena si è spostato lontano dai suoi luoghi, quel lembo di boschi impervi affacciati sul Lario, è rimasto da solo. Ed è scattato il blitz.