Brescia, Souad uccisa dall’ex: ergastolo a El Biti

Condannato per l’assassinio premeditato aggravato e per la distruzione di cadavere, i genitori della vittima: "Dica dov’è il corpo"

La madre Ghannou e il padre Hassan Alloumi in aula alla lettura della sentenza

La madre Ghannou e il padre Hassan Alloumi in aula alla lettura della sentenza

Brescia, 7 dicembre 2019 «Viva l’Italia. Ora quell’uomo ci dica dove ha nascosto il corpo». Ghannou Alloumi, la madre di Souad, gesticola con foga. In aula ha sentito il presidente della corte d’assise Roberto Spanò condannare all’ergastolo senza attenuanti Adbelmjid El Biti, 51 anni, l’ex genero riconosciuto colpevole di omicidio premeditato aggravato, sottrazione e distruzione di cadavere, atti persecutori, maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della figlia. I giudici hanno riconosciuto una provvisionale di 40mila euro per i genitori e 50mila ciascuno per i bimbi, Yasmine e Adam, 10 e 5 anni, parti civili.

Alla lettura del dispositivo la mamma e il papà della 29enne, sparita la notte tra il 3 e il 4 giugno 2018 dalla sua casa di Brescia, dove si era trasferita con i piccoli dopo una travagliata separazione, sono scoppiati a piangere. Poi sono corsi a ringraziare il presidente Spanò. «Ha riconosciuto i diritti di mia figlia, temevo in un esito diverso – si è sfogata Ghannou –. Sono sicura che Souad sia uscita da quella casa da morta nel sacco nero. El Biti è pericoloso anche per i bimbi, non deve avere sconti». L’incubo di Souad, che aveva sposato diciottenne nel 2007 il connazionale, ex macellaio poi operaio in fonderia, inizia presto: «Lui ha mentito sull’età. E lei ha capito presto che la sua vita sarebbe stata all’insegna di botte e minacce – ha detto la pm Cristina Bonomo nella requisitoria sfociata nella richiesta di carcere a vita, accanto al collega Gianluca Grippo –. El Biti la faceva vivere da schiava, chiudendola in casa e aspettandosi pensasse solo alle sue necessità, prioritarie sui figli. “Tu sei qui per servire me e i miei desideri“, le ripeteva. Per punirla le storceva le braccia dietro la schiena, la isolava dai parenti dicendole “la tua famiglia mi fa schifo“.

Le testimonianze convergono nel dipingere tirate di capelli, morsi, pugni. E stupri, con sodomizzazioni, patiti dal 2008 al 2016, per cui ci sono referti medici. “Se parli con qualcuno ti faccio a pezzi e nessuno ti trova più“, era una frase ricorrente». Solo nel 2016, con l’aiuto della madre la ragazza trova il coraggio di denunciare. Si trasferisce in comunità. Poi affitta la casa di via Milano. «Souad aveva cercato di ricostruirsi una vita. El Biti non accettava fosse indipendente e non per questioni religiose: voleva tornasse a essere la sua schiava». Due settimane prima della scomparsa, la situazione si inasprisce: «In vista dell’udienza di divorzio, lui le avrebbe dovuto pagare 10mila euro di assegni. “Non li vedrai mai. Piuttosto ti apro con l’apriscatole“, la risposta».

In quei giorni l’imputato chiama la ex 106 volte, la pedina e annuncia alla figlia che la madre potrebbe sparire. «Era preoccupato perché lei lasciava spesso soli i bimbi – sostengono gli avvocati Federico e Gianfranco Abate, che hanno puntato il dito contro indagini a senso unico –. Non c’è prova di omicidio, Souad può essersi allontanata infilandosi nella porta sul retro del bar Las Nones senza essere ripresa dalle telecamere, magari voleva sfuggire alle pressioni dell’ex». Un’ipotesi al limite della fantascienza per il pm. «Souad entra nel monolocale alle 23 del 3 giugno e non esce viva. El Biti l’ha strangolata alla presenza dei figli. Alle 4 le telecamere lo riprendono mentre esce sudato, a delitto compiuto. Rimosso l’ostacolo della moglie, era pronto per chiedere l’affidamento dei figli e fuggire in Marocco». Le intercettazioni non perdonano. «Era una puttana piena di sé» dice in carcere, dove cerca di pilotare la testimonianza di un amico «Dei miei lividi sulle braccia dica che me li sono procurati aggiustando l’auto».