Trovata impiccata in casa, la famiglia: "Non crediamo al suicidio"

Brescia, i parenti si sono opposti per la terza volta alla richiesta di archiviazione. Gli esperti: "La morte è riconducibile con certezza scientifica all’intervento di terzi"

i Ris dei carabinieri

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Brescia, 17 settembre 2021 - Una donna di 38 anni la notte tra il 18 e il 19 giugno 2018 viene trovata impiccata a un’asta appendiabiti dell’armadio di casa. Il fidanzato dorme nella stanza accanto, dice di non essersi accorto di niente. Per la Procura è stato un suicidio. Per tre volte il pm Federica Ceschi ha chiesto l’archiviazione. Non ci sono elementi per provare il contrario. Ma la famiglia di Laura – nome di fantasia – sta dando battaglia perché si continui ad indagare. Già due gip per due volte hanno disposto nuove indagini, che però non hanno portato a nulla. Per i parenti della vittima sono numerosi gli elementi da approfondire rimasti inesplorati. E una consulenza di un pool di esperti coordinati dal generale Luciano Garofano, ingaggiato dalle parti offese, ha messo nero su bianco che la morte è "riconducibile con certezza scientifica all’intervento di terzi". Ieri per la terza volta, stavolta davanti al gip Angela Corvi, il fratello e la madre della donna, rappresentati dagli avvocati Ennio Buffoli e Dionigi Biancardi, si sono opposti alla richiesta di archiviare tutto. All’attenzione del giudice, che ha preso tempo per valutare, un elenco di temi. A cominciare dalla necessità di sentire il fidanzato, un cinquantenne, mai sentito se non nell’immediatezza dei fatti perché l’anno scorso, quando il gip aveva disposto la sua escussione, era stato colpito da un ictus. La malattia sembrava gli avesse precluso qualsiasi capacità neurologica e di comunicare.

L’uomo è stato dimesso dal centro dove era rimasto ricoverato per mesi, e il 19 agosto scorso – una foto di Facebook lo attesta – era in pizzeria con amici. I parenti vogliono chiarimenti e l’acquisizione del suo traffico telefonico. Laura, un’assicuratrice, all’1,40 fu scoperta dalla coinquilina nell’armadio, appesa per il collo con la cintura dell’accappatoio. Il compagno raccontò che la sera precedente i due erano a letto insieme, avevano avuto un rapporto e lui si era addormentato. Una foto però attesterebbe che le lenzuola erano smosse solo da una parte. Laura inoltre fu trovata ubriaca, con in corpo un tasso alcolemico di 3,45 g/l. Come ha fatto a legarsi così saldamente all’appendiabiti, a non provocare disordine nell’armadio, né a lesionarsi il collo, che era privo di escoriazioni? Le consulenze hanno accertato che i due lati del cappio misuravano 20 centimetri, mentre la testa della vittima 30. Il compagno disse di averlo sfilato quando adagiò Laura sul pavimento per provare a rianimarla: non si capisce come possa esserci riuscito. Infine, perché Laura inviò un messaggio alla coinquilina dicendo che avrebbe assunto il Tavor per dormire, ma nel sangue non ne aveva traccia? Non quadra nemmeno come la barra dell’armadio non si sia flessa sotto il peso del corpo, né le ecchimosi sul braccio destro della donna.