Fuga all’estero: "Non è solo per lo stipendio"

In Lombardia mancano personale infermieristico e tecnici ma i giovani se ne vanno. Sara, 25 anni: in Inghilterra i radiologi sono valorizzati

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di Federica Pacella

Non è solo una questione di retribuzione, certamente più alta di quanto viene normalmente proposto in Italia per le professioni sanitarie, e quindi più allettante. Dietro la scelta dei giovani di andare all’estero, lasciando (non senza fatica) i propri affetti, c’è soprattutto la prospettiva di sentirsi apprezzati come professionisti e di ambire ad una carriera più gratificante.

Lo sa bene Sara Inverardi, 25 anni, una laurea da tecnico sanitario di radiologia medica conseguita nel 2019, con alle spalle una gavetta prima in una clinica privata a Brescia, poi per 9 mesi al Civile in piena pandemia di Covid. Ormai da oltre un anno, Inverardi lavora al Worcestershire Acute Hospitals NHS Trust, a Nord di Londra, dove è stata assunta dopo due colloqui. "E qui c’è già la prima differenza tra la modalità di accesso a un ospedale pubblico – racconta –. Io sono stata contattata da alcune agenzie che fanno da tramite tra gli ospedali in Inghilterra ed Italia. Mi trovavo bene a Brescia, ma non c’erano certezze sulla possibilità di restare".

Per essere assunta a Worcester, invece, è stato ‘sufficiente’ un primo colloquio conoscitivo sul livello d’inglese e uno su conoscenze tecniche e capacità personali (problem solving, lavoro sotto stress). "Lì vogliono conoscere la persona – sottolinea Inveradi – mentre in Italia bisogna superare il concorso, che ha tempi lunghi, con test che non sempre riescono a valorizzare davvero la bravura". A Worcester, Inverardi ha ritrovato 3 colleghi di Brescia e una folta comunità di italiani (9 solo nel suo reparto), tra tecnici di radiologia, infermieri, laureati in professioni sanitarie. Brexit non è un ostacolo, in questo caso: i laureati italiani sono particolarmente apprezzati negli ospedali inglesi, che sono disponibili ad occuparsi del visto per farli arrivare in Inghilterra. Eppure anche in Lombardia (ma in generale in tutta Italia) c’è carenza di personale sanitario: in Lombardia si stima che manchino 9.500 infermieri, ma si faticano a trovare anche i tecnici radiologi. Semplificare le procedure in ingresso sarebbe già un passo in avanti per non far scappare i giovani, ma non sarebbe sufficiente a trattenerli.

"Al di là dello stipendio, direi che il problema di fondo è l’aspirazione. Per quello che riguarda i tecnici radiologi, ad esempio, qui tutti iniziamo da un livello base, ma poi, in base all’esperienza e alla formazione, possiamo avanzare fino al massimo livello. L’ospedale stesso copre i costi di corsi formativi. A me hanno già offerto di iniziare un corso biennale per specializzarmi in ecografie, che in Italia i tecnici radiologi non possono neanche fare". Altra differenza che Inverardi ha potuto apprezzare è la stima verso la sua professione. "In Italia siamo visti un po’ come degli esecutori, qui possiamo decidere, in ultima istanza, se si può fare una radiografia e siamo coinvolti in meeting periodici con l’intero staff. In generale, io noto in Inghilterra un alto riconoscimento per le professioni sanitarie: per un giovane che ha studiato, che crede in quello che fa, vuol dire tanto. Se dovessi tornare in Italia, sarà per la mia famiglia".