Omicidio Daniela Roveri: una coltellata “chirurgica” alla gola. Il killer è ancora libero

Quattro anni fa nella Bergamasca veniva uccisa la manager nell’androne di casa. Due piste finite nel nulla, 500 persone sentite, una labile traccia di Dna

Daniela Roveri (De Pascale)

Daniela Roveri (De Pascale)

Bergamo, 21 dicembre 2020 -  Fredda volontà di uccidere. L’assassino sa dove appostarsi per tendere l’agguato. Colpisce con precisione chirurgica. Un solo fendente, alla gola della donna, aggredita alle spalle e immobilizzata. Un colpo profondo che recide la carotide e quasi decapita la vittima. Senza fare sanguinare la ferita se non quando la persona è già a terra. Senza rumore. Senza un testimone. Senza una sola immagine fissata dalle telecamere. Quattro anni di mistero. Sono da poco trascorse le nove di sera del 20 dicembre 2016. Daniela Roveri muore nell’androne del palazzo dove abita con l’anziana madre vedova, al numero 11 di via Keplero a Colognola, zona residenziale nella prima periferia di Bergamo. Dopo essere stata in palestra, ha parcheggiato l’automobile nel posteggio a pochi metri dal condominio. Non si trova la borsa che conteneva il portafogli e il cellulare Iphone 6, mai ritrovati. La squadra mobile accerta che lo smartphone è rimasto acceso, agganciato alle cella che copre anche Colognola, per circa trentasei ore, fino alla mattina del 22 dicembre, quando si è spento, probabilmente perché scarico.

Quarantotto anni portati con sobria eleganza, tranquilla, riservata, maturità scientifica, laurea in economia e commercio, Daniela Roveri è dirigente della Incra Italia di San Paolo d’Argon, la stessa azienda di prodotti in ceramica dove è stata impiegata la mamma. Attorno al corpo della donna sgozzata tante ipotesi che portano ad altrettanti binari morti. Si va dal movente passionale (viene ascoltato un amico, l’alibi è di ferro) alla rapina finita tragicamente. Si scava nella vita di relazione. S’indaga anche nel vicinato alla ricerca di screzi inesistenti e nell’ambiente di lavoro, se non per verificare il contegno sempre irreprensibile della morta. Due anni di proroga delle indagini. Cinquecento persone ascoltate. Nessun nome nel registro degli indagati. Nel dicembre del 2019 cala il sipario, almeno dal punto di vista formale. Il pm di Bergamo, Fabrizio Gaverini, chiede e ottiene l’archiviazione dell’inchiesta. 

Su una guancia di Daniela è rimasto il Dna del killer. Qui scatta l’ipotesi suggestiva di un intreccio fra l’enigma di Colognola e un altro omicidio orobico. L’aplotipo Y (che indica la linea maschile) è lo stesso del Dna impresso su un guanto di lattice rinvenuto dentro una busta della spesa insieme con il cutter che ha reciso la gola di Gianna Del Gaudio. È l’insegnante in pensione uccisa la notte fra il 26 e il 27 agosto 2016, nella sua villetta di Seriate. Un collegamento fra i due delitti, avvenuti a meno di sette chilometri di distanza, potrebbe evocare l’ombra di un assassino seriale che sgozza le sue vittime e si aggira per la Bergamasca a seminare il terrore. Si indaga a fondo. Le tracce vengono giudicate solo "blandamente compatibili". Cade anche la pista del Dna.

Chi non si arrende e si schiera all’antitesi, è la difesa di Antonio Tizzani, marito di Gianna Del Gaudio, unico indagato e processato per il suo omicidio. Nell’aula della Corte d’Assise di Bergamo parla il consulente Giorgio Portera, ex ufficiale del Ris di Parma, genetista forense: "C’è una forte compatibilità tra il Dna rilevato su un guanto trovato accanto al taglierino dell’omicidio Del Gaudio e il Dna individuato sul volto di Daniela Roveri. I 23 marcatori dei Dna rilevati nell’omicidio Del Gaudio e in quello Roveri sarebbero sovrapponibili. L’aplotipo Y, entrambi ignoti, è lo stesso nel grado della forte compatibilità". Mercoledì la sentenza per l’omicidio di Seriate.