Bergamo, il progetto Caritas per dare una casa ai profughi

Un modello di accoglienza alternativo che mira all'integrazione dei profughi

La presentazione del progetto della Caritas a kakanj

La presentazione del progetto della Caritas a kakanj

Il progetto "Oltre l'emergenza profughi in Bosnia Erzegovina" dopo il primo mese di attività, diventa progetto pilota per Caritas. Fortemente voluto da Caritas Bergamasca, ente capofila, Comune di Bergamo e CGIL Bergamo, co-referenti del progetto, hanno dato vita a un modello di accoglienza alternativo che mira all'integrazione dei profughi.

L'apertura a Kakanj di una safehouse, una casa per famiglie richiedenti protezione internazionale ricorda un modello sperimentale di accoglienza diffusa che aiuta i rifugiati ucraini che, in questo momento, stanno scappando dalla guerra.

Nato come sistema di ospitalità alternativo ai grandi centri per migranti, attento alle necessità dei soggetti più fragili, il progetto si prefigge di fare da apripista ad altre realtà che si propongono di fare aprire gli occhi sulla drammatica situazione della rotta balcanica. "Il progetto a Kakanj, con la sua safehouse, rappresenta un modello di accoglienza alternativo ai grandi centri, per coinvolgere più direttamente le autorità e le comunità locali fornendo una vera e propria possibilità di integrazione e di autonomia", ha dichiarato don Roberto Trussardi, direttore Caritas Diocesana Bergamasca.

A venire accolto per un periodo di un anno sarà un nucleo familiare di massimo sei persone richiedenti protezione internazionale, già ospitate all’interno dei centri di accoglienza temporanea in Bosnia Erzegovina. Ad oggi, le candidature ad entrare nel trilocale individuato nel quartiere di Kraljieva Sutjeska sono diverse : da una coppia di iraniani 60enni e una famiglia di egiziani con 4 minori. Circa 500 milioni di minori non accompagnati sono i rifugiati che, attualmente, soggiornano nei campi in Bosnia Erzegovina. A questi vanno aggiunti  anche i numerosi bambini con i genitori fuori dagli accampamenti ufficiali e che aspettano l’occasione per tentare il passaggio nell’Unione Europea.

Molti, i profughi che, dopo essere stati fermati vengono di fatto rispediti in Croazia per poi essere respinti in Bosnia e costretti a riprendere il cammino verso l’Europa. Secondo i dati elaborati dalla Commissione europea riguardanti le statistiche sulla migrazione verso l'Europa, sono circa 80mila i migranti che hanno intrapreso la rotta balcanica, per raggiungere l'Unione europea.

Il confine croato-bosniaco rappresenta l'ultima tappa di un difficoltoso viaggio di famiglie o persone sole dirette in Europa. L'Organizzazione mondiale delle migrazioni ha stimato che tra gennaio 2016 ad aprile 2021, sono transitate in Bosnia-Erzegovina più di 73mila migranti che le autorità bosniache hanno avuto difficoltà a gestire. I grandi campi profughi che arrivano ad ospitare circa 300 persone sono un crocevia di profughi che cercano di soddisfare i loro bisogni primari, prima di rimettersi in viaggio. Sono pochissimi coloro che decidono di provare a ricostruirsi una vita in Bosnia o creare legami con il territorio e la comunità. A questo, dunque, è chiamato a rispondere il progetto delle safehouse, fortemente sostenuto dalle organizzazioni internazionali coinvolte nella gestione dei migranti : a diffondere nel territorio, piccole case accoglienza che facilitino l'integrazione dei richiedenti asilo, anche attraverso attività e progetti di inserimento.