Lidia Macchi, la prova regina in una lettera: "Viene dal bloc notes del sospettato"

I periti del caso Macchi: coincidono gli anelli e la qualità del foglio di GABRIELE MORONI e MARINELLA ROSSI

Lidia Macchi

Lidia Macchi

Varese, 11 febbraio 2016 - Un bloc notes ad anelli. La «confessione» anonima, che Stefano Binda nega come sua , viene da lì. La squadra mobile di Varese sequestra l’agendina nell’abitazione di Binda, a Brebbia, il 25 settembre dello scorso anno, insieme con molte agende e altro materiale. Dal 7 agosto Stefano Binda è indagato per l’omicidio di Lidia Macchi. È un quaderno a fogli mobili. Sulla copertina marrone l’immagine di un albero, alto, svettante, il tronco snello, che potrebbe essere un faggio. I fogli, carta riciclata, sono di colore beige. Sono i fogli ad attirare l’attenzione degli investigatori. Per dimensioni, colore, impurità tipiche della carta, tipo di strappi, posizione dei fori, coincidono con quello su cui è stata scritta la prosa poetica «In morte di un’amica», recapitata alla famiglia Macchi il 9 gennaio del 1987, il giorno dei funerali di Lidia a Varese, quattro giorni dopo il suo assassinio. Il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda, alla vista di quell’agendina che pare la “madre” del foglio inviato ai Macchi, affida una immediata consulenza merceologica. La risposta è stupefacente: il foglio con lo scritto anonimo, inserito nel bloc notes, trova la sua perfetta collocazione. Combacia. Le pagine che precedono quella tolta contengono declinazioni di vocaboli tedeschi tradotti in italiano, battute a macchina. Le pagine a seguire qualche appunto, altre sono rimaste intonse. Per il pg Manfredda è quasi una prova matematica. Non ci sono dubbi sulla provenienza del foglio su cui una mano rimasta anonima per quasi trent’anni ha redatto versi cupi, imaginifici, densi di riferimenti alla notte, alla religione, alla morte. Viene da lì, da quel quaderno a fogli mobili.

Una certezza che è passata nell’ordinanza di custodia cautelare che il 15 gennaio ha portato in carcere Stefano Binda. «Veniva conferito - scrive il gip di Varese, Anna Giorgetti - incarico a un consulente tecnico il quale concludeva affermando l’identità merceologica tra i fogli del quadernetto ad anelli sequestrato durante la recente perquisizione e il foglio sul quale è vergato lo scritto ‘In morte di un’amica’ tenendosì altresì conto che la rarità del materiale cartaceo posto in analisi, certamente non comune sotto il profilo commerciale, confortava vieppiù la piena compatibilità tra i fogli oggetto di analisi. Può dunque affermarsi che, con altissima verosimiglianza pressoché coincidente con la certezza, il foglio sul quale veniva scritto il componimento in versi in argomento proviene dal quaderno sequestrato, oggi, a Stefano Binda».

Viene affidato un esame calligrafico del componimento e della busta che lo conteneva, avendo come scrittura di comparazione quattro vecchie cartoline spedite da Binda all’amica Patrizia Bianchi e da questa consegnate alla Mobile varesina. Anche l’esito di quest’ultima consulenza accusa l’uomo di Brebbia, che ha respinto la paternità. «Le manoscritture - è la conclusione della grafologa Susanna Contessini - caratterizzanti la missiva e relativa busta anonime presentano, nei confronti del materiale scritturale comparativo di Binda Stefano, importanti elementi di concordanza di ordine generale e di ordine particolare che segnatamente riconducono ad una stessa matrice redattiva. Consegue che le manoscritture anonime in verifica, sono da giudicare opera di Binda Stefano».