Suor Anna, dal Camerun all’Italia. Ritorno obbligato dall’alto rischio

Seveso, minacciata dai rapimenti degli integralisti di Boko Haram, suor Anna Merla, 47 anni da Cornaredo ha dovuto far ritorno nel convento di Seveso di Stefania Consenti

RIENTRO FORZATO  Suor Anna Merla, dalla Diocesi del Camerun del Nord ha dovuto tornare a SevesoUna manifestazione chiede la liberazione delle ragazze rapite  dai miliziani di Boko Haram in Africa Qui sono scese in piazza   donne nigeriane

RIENTRO FORZATO Suor Anna Merla, dalla Diocesi del Camerun del Nord ha dovuto tornare a SevesoUna manifestazione chiede la liberazione delle ragazze rapite dai miliziani di Boko Haram in Africa Qui sono scese in piazza donne nigeriane

Milano, 26 ottobre 2014 - Lì, fra le sue «donne», in quei villaggi sperduti nella savana, suor Anna Merla, 47 anni, da Cornaredo, ha lasciato il «cuore». Ed è tornata in convento, a Seveso. Ma per evitare di diventare merce di scambio, come è avvenuto per i due sacerdoti vicentini liberati questa estate dopoRIENTRO FORZATO Suor Anna Merla, dalla Diocesi del Camerun del Nord ha dovuto tornare a Seveso 57 giorni di prigionia, in una guerra dove alla fine le vittime sono proprio i più poveri, ha accettato di abbandonare la parrocchia nella diocesi di Maroua-Mokolò, nel nord del Camerun. Qui gli integralisti di Boko Haram si sono fatti più violenti e adottano i rapimenti per autofinanziarsi, sconfinando dalla vicina Nigeria.

È stata una decisione sofferta? «Sì. Non è stata presa in autonomia ma in accordo con il nostro vescovo locale e e con i responsabili della Diocesi di Milano, di Como e Vicenza perché oltre a me c’erano altri sacerdoti e una mia consorella, Emanuela Maistrello. Da tempo c’era una situazione di preallerta. A novembre un padre missionario francese, che operava nella nostra diocesi, è stato rapito dai miliziani Boko Haram. La Francia ha richiamato i suoi sacerdoti e cooperanti, e in aprile anche dall’Ambasciata italiana è arrivato l’invito a rientrare» .

Da quanto tempo era lì? «Da ottobre scorso, sono arrivata nel pieno caos».

Ci ritornerà? «Abbiamo deciso di stare in Italia un anno, poi speriamo che la situazione torni più tranquilla».

Una decisione che non ha molti precedenti in passato, come ha sottolineato don Antonio Novazzi, responsabile dell’Ufficio diocesano di Pastorale: «è la prima volta che abbiamo dovuto richiamare dei missionari in oltre 50 anni di impegno della nostra Diocesi in Africa e nel Sud del Mondo. Certo ci sono stati momenti critici ma mai prima d’ora ci siamo dovuti confrontare con gruppi tanto radicali da considerare tutti gli stranieri, in particolare gli Occidentali, dei nemici da sconfiggere anche quando portano il messaggio di amore del Vangelo».

Suor Anna ha mai avuto paura? «Mi sono sentita molto più spesso impotente. Il bisogno è grande, e i mezzi scarsi, lì non hanno niente. L’alimentazione è povera, a base di miglio e arachidi. È difficile coltivare qualcosa, la zona è semiarida, quasi predesertica. Se poi aggiunge che lì operano gruppi terroristici organizzati che riescono anche a fare proseliti fra i camerunensi, capirà che la situazione è ingovernabile. Andavamo nei villaggi sotto scorta dei militari. Ma nonostante le mille difficoltà siamo riusciti ad organizzare alcune attività di microcredito per la promozione dell’autonomia delle donne».

Lei è rientrata ma altri missionari partono, ne vale la pena? «Sono esperienze importanti».

Che farà in questo anno? «Sono tornata ad insegnare. Anche se mi manca molto il sorriso, dolce, carico di aspettative, delle donne del villaggio».