"Spese pazze" in Regione Lombardia, e c'è la truffa su autisti e consulenti

Gli ex consiglieri sono accusati, a vario titolo, di peculato e truffa, per rimborsi illegali da circa tre milioni di euro. Chiesto il rinvio a giudizio per 64. Tra loro figurano anche Renzo Bossi e Nicole Minetti. Nuovi guai per i leghisti Boni e Galli di Marinella Rossi

Nicole Minetti e Renzo Bossi (Newpress)

Nicole Minetti e Renzo Bossi (Newpress)

Milano, 30 ottobre 2014 -  Spese pazze. Aggettivo simpatizzante, per indicare quei 3 milioni - euro in più, euro in meno - della collettività, che fra il 2008 e il 2012 i consiglieri regionali hanno sperperato, confondendo i molti ristorantini, bitter, caramelle, i-phone e persino libri come l’«Islam spiegato ai leghisti» e i master di specializzazione edilizia e urbanistica, come diritti dovuti allo svolgimento della funzione dell’amministratore lombardo. Quelle spese portano ora un esercito di 64 ex, perlopiù, a un quasi inevitabile processo per peculato. 

E portano  due di loro, l’ex presidente del Consiglio regionale, il leghista Davide Boni, e l’ex presidente del gruppo Lega, Stefano Galli, a qualcosa di più imbarazzante: a un processo per truffa ai danni dello Stato. Perché tra le righe di inesasuste indagini fatte di liste delle spese (ammissibili, accettabili o decisamente indebite) analizzate dalla Guardia di finanza di Milano, e che trascinarono sotto i riflettori il solito Renzo Bossi («Il Trota») e le sue Morositas e la solita Nicole Minetti coi suoi Sushi bar, spuntano questi due episodi imbarazzanti. Boni, «nonostante nell’agosto 2003 si trasferisca con famiglia» da Sabbioneta (Mantova) a Milano, «fa credere alla Regione Lombardia» di vivere ancora là: così da ricevere un rimborso spese trasporto per oltre 31mila euro. Che non sono poi granchè rispetto ai 159.871, così descritti nelle carte (638 pagine complessive) con cui il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e i sostituti Paolo Filippini a Antonio D’Alessio chiedono il rinvio a giudizio suo e degli altri: Boni, «nonostante dall’aprile 2005 disponesse, in virtù del suo status di assessore al Territorio, del servizio di “autista personale” fornito da Regione Lombardia con personale dipendente... al fine di scegliere quale autista personale il sig. Flavio Tremolada» lo avrebbe fatto passare per un consulente. Così da «stipulare con quest’ultimo, dal giugno 2005 all’aprile 2010, undici contratti di collaborazione coordinata e continuativa aventi ad oggetto, contrariamente al vero, “Assistenza all’attività dell’Assessore, rapporti con il Territorio”... duplicando le spese per il servizio di autista spettante all’Assessore».

Analogo reato per quel Stefano Galli che, già passato per il golgota della cronaca per i 6mila euro del banchetto delle nozze della figlia messi in rimborso spese regionali, è anche accusato dell’inciucio con il genero (Corrado Paroli), fatto passare come collaboratore specializzato. «Con dichiarazione protocollata» Galli affermava «la stipulazione di un contratto di natura fiduciaria avente ad oggetto una collaborazione coordinata e continuativa con il Paroli, peraltro genero del Galli», di cui attestava «la congruità del compenso per quest’ultimo rispetto alla “prestazione richiesta ed alla professionalità del collaboratore”». E cosa doveva fare Paroli? Una «valutazione dell’attività legislativa attinente i rapporti tra Regione ed Enti locali con particolare attenzione alla Provincia di Lecco», mai eseguita, sempre fosse stato in grado di farlo senza competenza specifica. Ma costata alla Regione, nell’escalation di «compensi straordinari...“tenuto conto della qualità e quantità del lavoro”», 196.600 euro. Il resto è storia vecchia: la Procura chiede il rinvio a giudizio di circa 50 consiglieri di Lega e Pdl, di 5 del Pd, di uno di Sel, del Partito dei pensionati e dell’Idv, e di 5 ex assessori. Tutti uniti nel confondere la politica con le brioche.

di Marinella Rossi

marinella.rossi@ilgiorno.ne

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