Tanti cartelli, una sola regia. Ecco i clan della 'Ndrangheta che puntano su Expo

Affari spartiti a tavolino, con un debole per le autostrade di Giambattista Anastasio

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Milano, 15 settembre 2014 - Sono almeno dodici i clan della ’ndrangheta ormai da tempo stabilmente domiciliati nelle province di Milano e Monza. Almeno dodici i clan che, attraverso il controllo e la contiguità di aziende di costruzione, provano a spartirsi appalti pubblici e privati, grandi e piccole opere. L’Expo, per loro, è solo l’ennesima occasione, certo la più ghiotta di tutte. I più attivi, quando si tratta di accapparrarsi cantieri e commesse sono - come indicato anche nella relazione presentata nei mesi scorsi dal prefetto Francesco Paolo Tronca alla commissione parlamentare antimafia - i clan Barbaro-Papalia da Platì, radicato nell’hinterland sud-ovest del capoluogo lombardo, Morabito, nell’hinterland nord, i clan Alvaro, Arena e De Stefano, invece influenti a Milanio città e, ancora, gli Iamonte-Moscato a Desio (provincia di Monza), i Mancuso di Limbardi (Seregno, di nuovo provincia di Monza), i Pesce, i Piromalli, i Facchineri e il clan Lampada-Valle, attivo non solo nel sud-ovest milanese ma anche nella provincia di Pavia. A seconda delle zone di origine si dividono tra clan della costa jonica della Calabria, clan del reggino e, infine, i clan della piana, con riferimento alla piana di Rosarno. A dispetto della pluralità di cognomi, capi e referenti, nessun clan agisce per conto suo. Come hanno dimostrato gli esiti dell’inchiesta «Infinito» della procura di Milano, la ’ndrangheta continua infatti ad essere un monolite: esiste e persiste un organismo di vertice, nella madrepatria Calabria, con cariche elettive per ciascuna delle tre province prima citate, un organismo che garantisce le regole e dal quale dipende la legittimazione delle articolazioni locali dell’organizzazione. Non solo. Nessun clan ha piena autonomia decisionale, intraprendenza limitata, nessuno agisce come un agente libero. Piuttosto, più segnali inducono a pensare che la spartizione degli affari tra i clan avvenga a tavolino, nel tentativo di preservare l’ordine ed evitare guerre intestine. Con ogni probabilità è quanto è avvenuto anche per gli appalti Expo: a ciascuno il suo. Non fosse stato proprio per l’inchiesta «Infinito» e per la crescente sensibilità delle istituzioni lombarde nei confronti del fenomeno delle infiltrazioni mafiose. Dal 2011 ad oggi sono state 46 le interdittive antimafia emanate dal prefetto di Milano, 30 le aziende che sono state effettivamente allontanate dai cantieri perché ritenute vicine alla malavita. E sono proprio le interdittive a restituire la mappa della concentrazione degli interessi malavitosi nel grande affare del 2015: ben 20 (su 46, come detto) le interdittive emanate per cacciare aziende sospette dai cantieri per le nuove autostrade o per strade ad alto scorrimento, 9 sulla Teem, 7 sulla Pedemontana e 4 sul collegamento tra A8-Molino Dorino. Cantieri mobili, quelli delle autostrade, e per questo meno controllabili. 

 

di Giambattista Anastasio

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