Massimo Dapporto: «Mio padre mi disse: 'Milano ti darà il successo'. E ha avuto ragione»

L’attore Massimo Dapporto e l’amore per la città. «Mi aiutarono donne speciali come Wanda Osiris e Mimmi, la madre di Claudia Mori che viveva in via Gluck» di Massimiliano Chiavarone

L'attore Massimo Dapporto

L'attore Massimo Dapporto

Milano, 19 aprile 2015 - «Mio padre mi disse: questa città ti darà il successo». Lo racconta l’attore Massimo Dapporto, figlio di Carlo.

Innanzitutto a Milano ha visto la luce. E’ nato infatti nel capoluogo lombardo. Ha molti ricordi? «Siamo rimasti a Milano per i miei primi quattro anni di vita. Vivevamo in una casa di ringhiera in via Vitruvio che a distanza di tanti anni è la strada che mi resta in mente».

E’ la via milanese che preferisce? «Sì, ma dirò di più è l’oggetto di una mia ossessione. Non ricordo il numero civico di dove stavamo. Ancora adesso quando torno a Milano se posso, cerco di andare in via Vitruvio e starci almeno un’oretta. Passeggio lungo la via, guardando con attenzione i palazzi. La mia speranza è che qualche dettaglio mi faccia venire in mente la nostra casa».

Ma era troppo piccolo, forse non ricorderà nulla di quel periodo… «No, anzi sono tanti i particolari che non ho dimenticato. Milano mi sembrava la città delle favole, con grandi spazi e io provavo lo stupore di Pollicino. Abitavamo in una casa di ringhiera e spesso mi affacciavo dal balcone per vedere la vita che brulicava in basso e attorno, con le massaie che battevano i tappeti, la portinaia, i bambini che passavano. Al piano di sopra stava una coppia di attori, ormai anziani e colleghi di papà, Evaldo e Lina Rogato. Quando mi vedevano, mi chiamavano dal ballatoio e mi buttavano le ciliegie che raccoglievo nel mio grembiulino. Io ringraziavo, ma ero troppo piccolo e mi veniva fuori “accè”. Poi volevo sempre uscire».

Per andare dove? «Ad imbucare le lettere. Era un gioco e Lina Rogato mi assecondava, portandomi fuori con la scusa che aveva della posta da spedire. Comunque sin da piccolo mi appassionai al lavoro di papà. Riunivo i miei compagnucci in cortile, io mi mettevo in centro e inventavo storie tristi e lacrimevoli che cominciavano sempre così: “C’era un bambino veramente povero…”. E andavo avanti senza fermarmi, fino a quando mia madre mi chiamava per la cena».

Aveva passione anche per qualche sport? «Sì, per l’automobilismo e per la mia Ferrari rossa a pedali. Spesso la usavo nel giardino pubblico di via Vitruvio. Mi ci accompagnava la zia Lina, una seconda cugina di mia madre, che era rimasta vedova e si era trasferita da noi. Poi a quattro anni combinai il mio primo guaio. Fu quando uscii con mia madre e mia cugina Laura, per andare in profumeria. Mentre la mamma stava scegliendo alcuni articoli, io diedi una spinta a Laura che sfondò una vetrina distruggendo decine di boccette. Mi stava così antipatica perché faceva la saputella. Ma quella volta la feci grossa. Mia cugina, per fortuna non si ferì, ma mio padre dovette risarcire i danni e pagò 100 mila lire di allora per rimborsare tutti i profumi andati in frantumi».

A casa prese un sacco di botte? «No. Mio padre non mi ha mai picchiato. Solo una volta cercò di darmi uno schiaffo ma poi mi fece una carezza».

E la profezia di suo padre si avverò? «Sì, lui amava molto Milano. Mi ricordo che qui quando attraversava la strada fermava il traffico perché tutti volevano salutarlo. Succedeva anche altrove, ma con questa città aveva un legame fortissimo. Era il 1971, dopo il diploma all’Accademia “Silvio D’Amico” di Roma, venni a Milano per partecipare ad alcuni programmi in Rai. Fui notato da produttori e registi e di lì a poco debuttai in teatro con Andrea Giordana in “Le farfalle sono libere”. Milano mi aveva aperto la porta del mondo del lavoro».

A Milano poi ci è tornato spesso? «Certo, con questa città ho una storia d’amore a puntate. Qui ho trovato tante beniamine. Parlo al plurale perché Wanda Osiris che viveva qui mi tenne a battesimo. E poi c’era anche la Mimmi, la madre di Claudia Mori che viveva in via Gluck dove prima abitava Celentano. Erano gli anni ’70 e avevo pochi soldi. Mimmi mi invitava spesso, preparandomi piatti deliziosi anche se romani, come gli spaghetti alla gricia e l’agnello scottadito».

Insomma per lei Milano è? «Una tappa fondamentale della mia vita. Ci torno tutti gli anni e affitto sempre un appartamento per sentirmi più milanese. E’ la città più moderna d’Italia e anche se vengo per lavoro, qui mi sembra di stare in vacanza, lontano dal caos della capitale».

di Massimiliano Chiavarone mchiavarone@yahoo.it

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