Pane, amore e rock ’n' roll. La Milano ruggente del mattatore Ricky Gianco - FOTO

Il cantante: "La strada del cuore? Via Cola Di Rienzo. A Milano mi sento felice quando mi sveglio e fuori piove" (FOTO) di Massimiliano Chiavarone

Ricky Gianco

Ricky Gianco

Milano, 30 agosto 2014 - "A Milano mi sento felice quando mi sveglio e fuori piove". Parola del musicista Ricky Gianco.

Non sfidi la pazienza dei milanesi. Va bene la pioggia. Ma d’estate non le sembra fuori luogo?

Certo, non voglio infierire su noi milanesi che quest’estate in pratica non abbiamo avuto un’intera settimana di sole, ma gli ingredienti di Milano sono questi: cielo grigio, umidità, case di ringhiera, tanto lavoro. Quando sono qui mi sento nel mio guscio.

Tardivo bisogno di protezione?

Ma no, parlo dell’amore che ho per questa città, del piacere che ne traggo nel guardarla, percorrerla, nello scoprire le strade che non conosco ma che mi viene curiosità di vedere.

La via che invece conosce e che preferisce?

Via Cola Di Rienzo. E’ qui che sono cresciuto. Vivevo con i miei al civico 9. La zona è rimasta uguale a distanza di tanti anni, un quadrato di verde al centro che è poi un giardino pubblico circondato da quattro vie: oltre la mia, via Stendhal, via Foppa e via California. La zona di confine era la via Solari. Guai ad oltrepassarla.

Perché cosa ci avreste trovato?

La via Solari negli anni ’60 divideva la zona bene del quartiere, rappresentata da via Washington, da quella della mala il cui simbolo era la via Savona, allora sinonimo di malavita, prostituzione e contrabbando di sigarette. E a noi ragazzi gli adulti raccomandavano di stare sempre al di qua del limite invalicabile. Comunque c’era da divertirsi anche in via Cola Di Rienzo. Tutti eravamo innamorati della profumiera della via. Il suo negozio era proprio di fronte a casa mia. Aveva circa 25 anni, alta, bella, prosperosa. A noi neanche ci guardava anche se passavamo con insistenza davanti alle sue vetrine. Poi scoprimmo che se l’intendeva con il proprietario del garage che confinava con la profumeria.

Una delusione?

Ma no, avevo la testa troppo occupata dalla musica. Ho cominciato a cantare a 11 anni spinto dalla signora Migliavacca, un’amica di mia madre a cui la mia voce piaceva molto. Lei era sposata con un dirigente della Cetra e insistette tanto col marito che alla fine riuscì a farmi fare un’audizione. A 16 anni cantavo nei Caroselli con Mike Bongiorno e a 17, era il 1960, fui messo sotto contratto dalla Ricordi. Il periodo d’oro della musica in Italia.

E Milano ne era l’ammiraglia?

Questa città era il fulcro della musica. Eravamo tutti gasati col rock ‘n' roll. Alla Ricordi conobbi tra gli altri Luigi Tenco. Abitava in una pensione in Galleria del Corso. Ci trovavamo spesso in un bar in via Berchet. Bevevamo vino alla mescita e parlavamo di musica e politica. Luigi era un po’ comunista e un po’ anarchico. Aveva un carattere allegro e altruista. Una volta eravamo a Genova, dovevo tornare a Milano e lui restò con me in stazione in attesa del treno. Il tempo lo passammo giocando ai "tocchi" in cui era bravissimo.

Lei passò poi al Clan di Celentano?

Sì, fu Adriano a propormelo, lasciai la Ricordi. Una notte mi telefonò: "Ti va bene se ti chiami Ricky Gianco?", mi chiese. Io ero così assonnato che gli dissi di sì. Però almeno così continuai a lavorare aggirando i vincoli che ancora mi legavano alla casa precedente come Ricky Sanna, che è poi il mio vero cognome.

E con Adriano come andò?

All’inizio benissimo. Incisi "Vedrai che passerà", il primo disco del Clan. Poi ci furono alcune incomprensioni, tra l’altro Adriano mi scippò  il lancio della versione italiana di "Stand by me", cioè "Pregherò". Quella canzone l’avevo incisa io per primo. La cosa meno divertente era poi che Celentano pretendesse che noi tutti stessimo seduti per ore a guardarlo mentre giocava a biliardo in un bar di via Zuretti all’angolo con via Gluck. Lui sfidava i vecchietti del quartiere, ma alla fine a vincere erano loro.  Me ne andai. Ma a distanza di anni siamo rimasti in buoni rapporti.

E’ stata la sua più grande amarezza?

No. Il magone mi è rimasto quando rifiutai la proposta di Leo Wächter di aprire al Velodromo Vigorelli il concerto che i  Beatles tennero a Milano nel 1965. Li avevo conosciuti l'anno prima a Londra. Ma quella volta non mi sentivo pronto. Sbagliai per eccesso di autocritica.

di Massimiliano Chiavarone

mchiavarone@yahoo.it

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