Mosè Cov torna "all'ombra di Londra": ecco il nuovo singolo del rapper milanese

"Il brano è un mix fra bene e male: una storia triste a lieto fine. Per noi artisti il dolore è un aspetto importante dopotutto, se non soffri, non offri”

Milano, 22 gennaio 2018 - "L'ombra di Londra". È questo il nuovo capitolo del rap musicale di Mosè Cov. Seppur nato e cresciuto all’ombra delle case popolari di Maciachini, il giovane artista di origini eritree, ha deciso di ampliare i propri orizzonti per abbracciare un sound figlio dell’epoca moderna che tuttavia ha fatto tesoro di quelle che sono le radici black. Il brano, di cui Mosè Cov (all’anagrafe Mussie Tesfay) ha curato la produzione musicale insieme a Fulvio Ruffert, nasce da in un periodo di impasse personale che gli ha permesso di traslare le difficoltà in precise immagini scritte. Fotografie nitide in cui amarezza e rassegnazione cedono il passo a uno spirito di rivalsa ma che si stagliano su quel gioco spietato di tempo e spazio che genera la lontananza fra le persone. L’artwork di copertina è firmato Moab mentre il video, in uscita mercoledì 24 gennaio, è diretto da Mattia Biancardi. Il brano è disponibile su Spotify. 

Mosè COV. Come mai questo nome d’arte?

La cover de "L'ombra di Londra"
La cover de "L'ombra di Londra"

Nonostante le origini eritree la tua vita è fra le case popolari di Maciachini…

“Mia madre è eritrea e, prima di trasferirsi in Italia, ha patito i drammi del conflitto. Io, invece, sono nato e cresciuto a Milano”.

Quanto del tuo passato si riflette nella tua musica?

“Moltissimo. Oggi tanti artisti parlano del ‘quartiere’ senza però averlo mai vissuto realmente. La sensazione è che vogliano entrarci per forza. Io invece ho conosciuto da vicino tutte le sue dinamiche e, nelle mie canzoni, parlo di quello che ho vissuto e di ciò che vedo tutti i giorni. Questo però non significa che io voglia morirci, sono aperto a tutto, non voglio pormi alcun limite”.

Ma come nasce la tua passione per rap e beatmaking?

“Tutto è iniziato proprio fra le case popolari di Maciachini dove abbiamo messo in piedi uno studio di registrazione che ha festeggiato da poco i sui 13 anni di attività. Lì c’era grande fermento, gravitavano molti artisti: c’era Chiara (che oggi è per tutti Nina Zilli) i Co’Sang e moltissimi altri. All’epoca ero il più piccolo ma ero estremamente curioso e determinato; volevo fare musica così, mio fratello maggiore, mi mise in mano un cd con i programmi e mi disse: ‘Ok, arrangiati’. E così feci. Imparai da autodidatta e, nel giro di un anno, producevo anche le canzoni degli altri. Poi ho iniziato coi testi: osservavo mia madre scrivere poesie, ascoltavo per ore mio fratello suonare la chitarra e, rima dopo rima, ho cominciato a comporre canzoni”.

E quali sono i tuoi riferimenti musicali?

“Tanti, forse pure troppi. Diciamo che non ascolto solo rap. Per esempio ho suonato 5 anni in una band crossover dove ho subito molto influenze punk e metal. E ancora la musica elettronica, compagna di serate nel periodo dell’adolescenza. Ma anche tanto hip hop anni ’90, rap francese e americano”.

Cosa pensi della deriva trap che molti artisti stanno prendendo?

“Credo si tratti di un valore aggiunto. Molti la criticano ma, mantenere l’attenzione alta sulla musica trap, offre una possibilità in più di farsi notare per chiunque faccia rap. Questo però non ci dispensa dal mantenere un atteggiamento rispettoso nei confronti delle origini del rap e delle rime, purché con una mentalità aperta e con spirito positivo”.

In “Senza Regole” dici “… non chiedere a me, vivo a modo mio…”. E come si vive a Milano? Pansi che questa sia la città giusta per chi vuole fare musica?

“Trovo che Milano sia ‘l’unica’ città per chi vuole fare musica. Oggi è la capitale del rap italiano. Qui ci sono tante strade da percorrere o, addirittura, te le puoi tracciare da solo. La gente ha sempre fame di musica, vuole continuamente ascoltare cose nuove, sentire altre storie. A Milano, anche la persona più invisibile, può diventare il capo assoluto”.

Ma come sei approdato a "L'ombra di Londra”?

“Questo brano è nato in una situazione particolare della mia vita. All’epoca facevo parte dell’etichetta Propaganda alla quale sono approdato per l’amicizia fortissima che mi lega a Noyz Narcos. A un certo punto, però, la mia ragazza si è trasferita a Londra e mi sono allontanato da tutto: volevo iniziare un nuovo percorso ma, per farlo, dovevo anzitutto ritrovare un mio equilibrio originario, una dimensione che mi appartenesse di più”.

In effetti il brano ha un sapore agrodolce…

“’Ho vinto con labbra piene di rabbia…’. L’intro del testo, in effetti, riassume un po’ il percorso che ho intrapreso e parla di un nuovo inizio: sento che, anche grazie alla rabbia, ce la sto facendo. Il brano poi si riferisce anche a questa ragazza che, nel bene o nel male, mi ha saputo stimolare molto. L’intero brano è un mix fra bene e male. Lo definirei come una storia triste a lieto fine. Credo che, per noi artisti, il dolore sia un aspetto importante; dopotutto se non soffri, non offri”.

Con questo pezzo rinnovi la tua collaborazione con il producer Fulvio Ruffert…

“Fulvio fa musica elettronica e, considerando la mia originaria passione per il genere, io e lui ci siamo subito ‘presi’ e abbiamo un’ottima intesa”.

E il video?

“È stato realizzato con Mattia Biancardi. Insieme a lui, e ad altri amici, ci siamo impegnati per creare qualcosa di diverso rispetto al solito video rap girato all’interno del quartiere. Ad esempio, abbiamo inserito dei frammenti in flashback che rievocassero la mia immagine da ragazzino”.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro