Kings of Leon: insieme, legati da sangue e rock

Concerto all’Ippodromo

I Kings of Leon suoneranno a San Siro dopo i Jimmy Eat World e gli Editors

I Kings of Leon suoneranno a San Siro dopo i Jimmy Eat World e gli Editors

Milano, 21 giugno 2017 - La parabola dei Kings of Leon, in concerto questa sera all’Ippodromo di San Siro, ricorda quella degli dei Black Keys, degli Strokes, e di altre realtà dell’alternative americano affiorate tra grandi plausi negli anni Duemila, ma andate poi incontro a significativi ridimensionamenti nel decennio successivo. E questo nonostante album tutt’altro che disprezzabili come quel “WALLS” con cui il gruppo dei fratelli Caleb, Ivan Nathan e Michael Jared Followill e di loro cugino Matthew Followill si ripresenta al pubblico italiano dopo sette anni. Acronimo di “We Are Like Love Songs”, noi siamo come canzoni d’amore, “WALLS” è arrivato sul mercato con l’intento di raddrizzare una carriera passata dai sei milioni e mezzo di copie vendute da “Only by the night” al milione del penultimo “Mechanical bull” recuperando proprio le sonorità perse un po’ per strada.

Merito del produttore Markus Dravs, chiamato a prendere il posto in cabina di regia dello “storico” Angelo Petraglia, ma anche del peso di una sfida al proprio passato da cui sarebbero potuti uscire con le ossa rotte. Non saranno più i campioni di quel “southern rock” tutto Tennessee, Bibbia e chitarre con cui hanno marchiato a fuoco le loro prime incisioni, ma i Kings of Leon mantengono un profilo svettante sul panorama della musica americana. Lo conferma il fatto che stasera all’Ippodromo sono gli headliner alle 21.15 di una maratona che vede in scena pure i Jimmy Eat World di “Integrity blues” alle 18.30 e gli Editors di “In dream” alle 19.45.

«Abbiamo avuto successo perché siamo tre fratelli, figli di un predicatore pentecostale e, in quanto tali, cresciuti per strada» ammette realisticamente Ivan Nathan Followill, batteria. «Ci rendiamo perfettamente conto che all’inizio si è parlato di noi più per la nostra storia personale che per i nostri meriti musicali, ma poi siamo cresciuti, abbiamo esplorato nuovi mondi e cercato di riversare questo bagaglio di esperienze nella nostra musica». Dopo essere arrivati sull’orlo del baratro, vale a dire lo scioglimento, a causa dello stress e delle tensioni interne, i Followill hanno provato a rimischiare le carte a un destino che sembrava segnato facendo leva sull’unico fattore che li differenzia dalle altre band in overdose da successo: l’anagrafe.

«Ci siamo guardati negli occhi dicendo che dovevamo incidere un disco di cui poter essere fieri e capace di resistere al tempo» dicevano tempo fa parlando di “Mechanical Bull”, l’album della svolta. «Toccare il fondo ci ha dato una forza che, nonostante i legami di sangue, ignoravamo di avere». C’è da credergli. D’altronde fan dichiarati del quartetto di Nashville come Bruce Springsteen, Brad Pitt, da Paul Weller o Bob Dylan non possono sbagliare.

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