Il leader dei Nomadi, Beppe Carletti: "Io, vagabondo a Milano"

"Vivevamo in un albergo frequentato da prostitute". La stagione nella "città degli incontri decisivi" per la leggendaria band emiliana comincia con un dilemma: la scelta tra Battisti e Guccini di MASSIMILIANO CHIAVARONE

Beppe Carletti

Beppe Carletti

Milano, 17 aprile 2016 - «A Milano abbiamo dovuto affrontare il dilemma di incidere i pezzi di Battisti o di Guccini. Alla fine abbiamo scelto Guccini». Lo racconta Beppe Carletti, storico leader dei Nomadi. «Ma non provo rammarico. È andata così. Milano è la città degli incontri decisivi».

Come andò con Battisti? «Era il 1967. Lucio era ancora sconosciuto. Ci fece ascoltare “Non è Francesca”, a noi piacque e decidemmo di registrarla. Ma Battisti e Mogol insistevano perché registrassimo tutte le canzoni che avevano scritto in coppia. In quel momento, però, stavamo incidendo, sempre a Milano, “Dio è morto” di Francesco Guccini. Non ce la sentimmo. Lucio insisteva ma non raggiungemmo un accordo. E preferimmo Francesco. Poi il pezzo di Battisti fu inciso dai Balordi».

Dunque nessun rimpianto? «No, proprio a Milano abbiamo inciso i pezzi più importanti di Guccini e anche della nostra discografia. “Dio è morto” diventò uno dei nostri cavalli di battaglia, Guccini lo eseguì in pubblico per la prima volta solo dieci anni dopo, nel 1977 e cantando insieme a noi».

La sua prima volta a Milano? «Nel 1965. Suonavo in un locale a Modena, quando un discografico della Emi, Corrado Bacchelli, che poi sarebbe diventato il produttore dei Nomadi, mi invitò a Milano a fare un provino. Negli studi della Emi, in via Domenichino, mi provinò il maestro Mansueto De Ponti, che ascoltò alcuni pezzi che avevo composto. Subito dopo mi disse: “Potremmo lavorare insieme. Hai un complesso?” Allora infatti si chiamava così la band. Risposi di sì e ci convocò di  nuovo a Milano».

E questa volta i Nomadi al completo arrivarono nella città degli Sforza e dei Visconti? «Ancora per un provino, ma in via Monviso. Eravamo io, Augusto Daolio, Franco Midili, Gianni Coron e Gabriele Bila. Con Augusto c’eravamo conosciuti a un concerto nel 1963 al dancing “Oasis” in provincia di Rovigo. E pensare che abitavamo a soli 16 chilometri di distanza: io sono di Novi, lui di Novellara. Da quel momento in poi non ci siamo più mollati. La Emi dopo averci ascoltati ci offrì un contratto. Noi non stavamo nella pelle. Milano ci è piaciuta subito, anche se già molto grande non era caotica e si poteva girare senza problemi in auto».

Peripezie milanesi? «Abitavamo all’hotel Candidetta in via Torino e mangiavamo nel ristorante vicino, il Pam Pam. Se a questo ci aggiungiamo che nell’albergo giravano molte prostitute che incontravano i loro clienti, sembrava proprio che fossimo capitati sul set di una commedia di Totò e Peppino. Qualcuna di quelle ragazze ci piaceva. Noi le aspettavano per parlarci e poi per invitarle a giocare a carte».

Quel tipo di gioco con le carte, di cui esiste anche la versione «scientifica»? «No, a noi piaceva la briscola, ma volevamo davvero giocare. Abbiamo fatto la figura dei sempliciotti».

Qual è la zona di Milano che preferisce? «Via Alberto da Giussano, tra Pagano e Conciliazione. Dal 1998 ho stabilito qui il mio quartier generale. Questa via è il simbolo della mia indipendenza perché sono riuscito a sottrarmi alle majors e ho fondato proprio a Milano la mia etichetta Edizioni Nomadi. È una strada che mi piace molto, confina con il parco Guido Vergani e mi sembra di stare al mio paese perché sono vicino al verde che “mi illumina gli occhi”. In via Da Giussano è come se vedessi il lato tranquillo di una metropoli».

Milano ha un ruolo nella storia del rock in Italia? «Questa città ha contribuito alla creazione di un rock metropolitano e underground, proprio perché ha sempre proposto musica in luoghi alternativi, come cantine e centri sociali, fuori dai circuiti ufficiali. Per quanto ci riguarda a Milano abbiamo inciso per la prima volta “Io Vagabondo” nel 1972. Ma qui abbiamo anche creato tanti pezzi nuovi. Proprio Augusto scrisse “Crescerai”, che uscì come lato B di “Un giorno insieme”».

E Augusto stava bene a Milano? «Sì, tranne una volta. Era il 1991, ci trovavamo in viale Liguria. Avevamo appena parcheggiato. Una volta usciti dall’auto, dopo pochi passi non vidi più Augusto: era inciampato e caduto in avanti. Meno male non si fece nulla. “Ma Augusto - gli chiesi - cosa è successo?” E lui: “Ero troppo preso a fumare e non ho visto dove ho messo i piedi. Meno male che ho la pancia, altrimenti lo sai che male!” mchiavarone@gmail.com

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