Legnano, l’amore di una madre: dona più di metà fegato alla figlia

Il delicato intervento si è svolto all’ospedale Niguarda di Milano: madre e figlia stanno bene

Un ospedale (foto di repertorio)

Un ospedale (foto di repertorio)

Legnano (Milano), 23 maggio 2017 - «Mia moglie è ancora in ospedale e uscirà domani. Poi si riposerà a casa». Il marito di Benedetta Bisconti fa il tabaccaio in piazza San Magno e la sua è una voce rotta dall’emozione per il gesto della moglie che vale più di ogni parola. Il 9 maggio la moglie sessantenne ha donato gran parte del proprio fegato alla figlia Barbara di 37 anni, da tempo ostaggio di una gravissima insufficienza epatica che le stava ormai strappando la vita e che la costringeva a sperare nel decesso di qualcuno per potersi far trapiantare un nuovo fegato. Un gesto che vale una vita, quella di questa donna che adesso deve ringraziare la madre per un trapianto che vale il centesimo intervento del genere al Niguarda di Milano.

Ne è passato di tempo da quel 16 marzo del 2001 quando nell’ospedale milanese avvenne il primo intervento del genere in Italia, ancor prima che le leggi nazionali potessero disciplinare una materia ancora tutta da scoprire. Fu il ministro Umberto Veronesi in persona a dare il nulla osta prima che padre e figlio finessero allora sotto i ferri in sala operatoria. Adesso la bella storia di Benedetta e Laura.

Dodici ore di intervento in totale, quattro per la mamma e ben otto per la figlia, rendono bene l’idea di una operazione snervante portata avanti da due équipe di medici. In totale diciotto professionisti impegnati nel prelievo e nel trapianto di una parte del fegato, il 60% dello stesso organo.

Alla base e prima di ogni altra cosa, è stato messo in atto lo studio di compatibilità dell’organo stesso per evitare successive complicazioni per entrambe. Esami che la madre ha voluto tenere nascosti alla figlia fino alla risposta positiva dei medici sulla compatibilità immunologica e morfologica del fegato che era finalmente pronto al trapianto, togliendo la spada di Damocle sopra la testa della figlia costretta alla lista d’attesa per un trapianto da cadavere. «Senza miafiglia non potrei vivere» ha spiegato ai medici la tabaccaia legnanese, il cui atto di amore e altruismo è sulla bocca di tutti in città. La storia di queste due donne ha commosso l’intera cittadinanza e adesso si attende il ritorno a casa di Benedetta per fare una grande festa. La tecnica usata al Niguarda è stata eseguita per la prima volta alla fine degli anni Ottanta, e nel tempo ha trovato un grande successo in Giappone, dove la donazione d’organi è un evento rarissimo, e negli ultimi anni è stata applicata con successo anche nei pazienti adulti.

Il grande problema della donazione fra viventi nasce nell’identificazione del possibile donatore. Infatti, solo un paziente su cinque trova un donatore idoneo all’asportazione parziale del fegato. I possibili donatori sono sottoposti ad un rigido protocollo di studio che deve verificare se sono effettivamente idonei alla donazione dal punto di vista delle condizioni generali e se sia possibile asportare una parte del fegato tale da non provocare disturbi allo stesso donatore e che sia poi sufficiente per il paziente che riceve il trapianto.