Piazza Loggia, lo stragista che curava lo spirito: il neo-ergastolano era a Fatima

Tramonte arrestato dopo la condanna: a Pasqua era stato a Lourdes. Pregava per il miracolo che non c'è stato

Maurizio Tramonte

Maurizio Tramonte

Brescia, 22 giugno 2017 -  La spia dei servizi segreti condannata all’ergastolo per la strage di piazza Loggia 43 anni dopo l’attentato al momento di finire in carcere fa perdere le tracce. E invece, contrordine, è a Fatima a chiedere il miracolo alla Madonna. E laggiù, in Portogallo, gli uomini dell’Interpol gli infilano le manette. Sembra la trama di un film poliziesco, invece è la sintesi di quello che è successo ieri, all’indomani della sentenza della Cassazione che martedì notte ha confermato in via definitiva le condanne per Maurizio Tramonte (la fonte Tritone), militante neofascista appunto ex infiltrato del Sid, e per il medico veneziano Carlo Maria Maggi, il leader di Ordine nuovo del Triveneto.

Il primo faceva il doppio gioco tra i servizi e le riunioni con gli amici della destra eversiva in cui si parlava di bombe come fossero noccioline. Il secondo invece è considerato l’ideatore della strategia della tensione che insanguinò l’Italia di quegli anni, disponeva di uomini fidati e di esplosivi, ed è il regista della strage di Brescia. Il verdetto è arrivato alle 23,30 e nelle ore seguenti si è sparsa la voce: Tramonte, 65 anni ad agosto, ultimamente una vita alla luce del sole da agente immobiliare a Brescia, aperitivi nei bar del centro sotto gli occhi di tutti, da giorni risultava introvabile. Poi ieri all’ora di pranzo la svolta: i carabinieri del Ros lo hanno localizzato a Fatima, dove è stato arrestato. «Ma quale fuga – smentisce il suo avvocato, Marco Agosti –. Tramonte si trovava in Portogallo da uomo libero. A Pasqua era stato a Lourdes, poi si è spostato a Fatima. Ha fatto quel che chiunque altro avrebbe fatto al posto suo: pregava. Ma il miracolo non c’è stato».

L’altro condannato, l’82enne Carlo Maria Maggi, è invece difficile finisca in carcere. È sulla sedia a rotelle, ieri per lui è stata disposta la detenzione domiciliare. «Sta molto male, vive una situazione non compatibile con la carcerazione», ha spiegato il difensore, Mauro Ronco. Ci sono voluti tre istruttorie e 11 processi per accertare una verità giudiziaria comunque parziale. La strage ha una matrice: la destra eversiva, scrivono i giudici milanesi dell’appello bis, 22 luglio 2015. Che proseguono: «Esistono altri parimenti responsabili che hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita, anche istituzionale, dell’epoca delle bombe». Il riferimento è a Carlo Digilio, Ermano Buzzi e Marcello Soffiati, estremisti deceduti dichiarati colpevoli. Tra chi non riesce a trattenere l’emozione c’è Francesco Piantoni, oggi procuratore generale in corte d’appello a Roma, che con il collega Roberto Di Martino per 29 anni ha tentato di dissipare le ombre della strage: «È una soddisfazione enorme – ammette il magistrato artefice della terza inchiesta -. In tanti ci abbiamo messo il sangue, è stato fatto un lavoro enorme, anche con l’attività integrativa fornita alla Corte di Milano. Fino all’ultimo il timore c’era». Per continuare a indagare sugli esecutori materiali dell’attentato (a Brescia sono ancora aperti due fascicoli) Piantoni aveva chiesto di essere riapplicato al caso, ma il Csm si era opposto.

E poi c'è lui, Manlio Milani, l’infaticabile rappresentante dei familiari delle vittime, ancora incredulo: «C’è molto ancora da svelare, ma oggi ne sappiamo di più e possiamo dire che uomini dello Stato hanno sconfitto altri uomini dello Stato. Finalmente chi è morto potrà riposare in pace».