Lega, dopo 35 anni da "senatur" Umberto Bossi nel flipper dei resti

I conteggi per la la quota proporzionale beffano il fondatore della Lega. Approdato nel Parlamento dell’odiata Roma nel 1987 non l’aveva più lasciato

Migration

VARESE

di Ivan Albarelli

È la fine di un’epoca. Storica e politica. Dopo 35 anni ininterrotti trascorsi in Parlamento, in quella che in un tempo ormai lontano (e archiviato da Salvini) era l’odiata “Roma ladrona“, Umberto Bossi, salvo un miracolo dell’ultimo minuto, è a un passo dal trovare le porte sbarrate delle Camere. Questa volta quelle di Montecitorio, per il quale era stato candidato dalla Lega nel collegio plurinominale di Varese. Tutto per per un complicato gioco di resti legato ai complessi conteggi delle preferenze.

"È il famoso flipper, mi sembra strano per i numeri di rappresentanza, ma dobbiamo verificare – dice con tutta la cautela del caso l’onorevole Fabrizio Cecchetti, capogruppo lombardo della Lega –. Di ufficiale non c’è nulla e solo domani (oggi, ndr) lo sapremo con assoluta certezza". Cecchetti, più che “crederci“, sembra in realtà voler esorcizzare un epilogo che rischia di lasciare l’amaro in bocca a migliaia di lumbard della prima ora, nella provincia roccaforte che tenne a battesimo la Lega Lombarda dei primi anni Ottanta. "Al momento Bossi risulta fuori dal Parlamento – sottolineava ieri sera Stefano Gualandris, commissario provinciale della Lega di Varese – frutto di un meccanismo perverso della ripartizione dei voti". Un pertugio potrebbe aprirsi solo attraverso un gioco a incastri. E cioè Bossi potrebbe essere ripescato solo se la leghista Silvana Comaroli, risultata eletta sia nei collegi Lombardia 4 e Piemonte 1, optasse per il Piemonte.

Ieri a Gemonio tutti o quasi col fiato sospeso. Ma allo stesso tempo nemmeno troppo sorpresi. Il tracollo subito da Salvini (con cui non è mai corso buon sangue) ha raggiunto infatti come una bufera anche il paese in cui i Bossi ancora vivono, ritirati. Come pure Cassano Magnago, dove “l’Umberto“ è nato ottantun anni fa sognando da grande la secessione della Padania. Qui le urne hanno restituito un verdetto impietoso. A Gemonio Fratelli d’Italia ha superato il 29% mentre la Lega si è fermata poco sopra il 15. Un risultato simile a quello di Cassano Magnago: Meloni oltre il 30% mentre Salvini ha ottenuto la metà delle preferenze, fra il 16,2 (al Senato) e il15,8 alla Camera. Ci si consola allora con lo spoglio dei seggi di Cazzago Brabbia, sulle rive del lago di Varese, il paese del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti. Uno dei pochi, fra le vecchie e storiche roccaforti dei lumbard, a non aver subito l’onta del “sorpasso romano“. Qui la Lega rimane il primo partito con il 22,25% delle preferenze, pur tallonato da Giorgia Meloni che – impensabile anche solo cinque anni fa – sale fino a quota 22,02.

Bossi, che urlava contro la Città Eterna e le sue corruttele, era entrato nei palazzi della politica e del potere nel 1987 e da allora non li aveva più abbandonati.