Buccinasco: coi Bionics sì al basket, no al razzismo

Una folla e tantissimi bambini a bordo campo per tifare Joao Kisonga

I più piccoli con lo striscione per il giocatore insultato per il colore della pelle

I più piccoli con lo striscione per il giocatore insultato per il colore della pelle

Buccinasco (Milano), 26 febbraio 2018 - Spalti pieni, con i bambini di neanche sei anni che tenevano uno striscione: «Jo uno di noi». Jo è Joao Kisonga, il 33enne preso di mira da tifosi (a volte anche dai giocatori) avversari per il colore della pelle. Lo avevano promesso: «Riempiremo il palazzetto», e così è stato. Nella partita contro Legnano, valida per il campionato della serie C2 Silver, ieri sera, c’erano tutti. Associazioni, tifosi di sempre e gente che per la prima volta vedeva un campo da basket. C’era anche il sindaco Rino Pruiti e tutti gli assessori, lì per ribadire forte «no al razzismo». I colori dei Bionics hanno colorato la palestra di via Tiziano, con i bambini che intonavano cori. Quando Kisonga è entrato in campo, il boato e gli applausi hanno riempito il palazzetto.

«Siamo venuti per sostenere Jo, perché persone cattive gli hanno detto cose bruttissime per il colore della pelle», dice una bambina di 8 anni. «Jo è il nostro mito, il mio giocatore preferito», aggiunge un altro giocatore, lui che ha solo 6 anni. «Io sono venuta qui per dire sì al basket, no al razzismo», gli fa eco un’altra bambina. Continuano i cori: «Buccinasco, Buccinasco», urlano gli aquilotti dei Bionics. Poi, già che ci sono, tentano di fare breccia sul sindaco presente: «Vogliamo il palazzetto», urlano, perché un posto dove poter giocare davvero a basket manca. Dagli spalti l’assessore allo Sport Mario Ciccarelli insiste: «Vogliamo proporre anche agli altri amministratori di unire le forze e chiedere un regolamento più duro alla Federazione». Il sindaco Rino Pruiti: «Siamo venuti compatti per sostenere la squadra nella decisione che ha preso: abbandonare il terreno se sentiranno altri insulti razzisti, a costo di perdere la gara. Siamo qua per dire che siamo con loro».