
Sulla scena incombe un gorilla “warholiano“ fucsia che indossa una maschera a emulare gli umani
Una commedia teatrale molto simile a un prezioso ingranaggio. “Il gioco dell’amore e del caso“ di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux, capolavoro della drammaturgia francese, cattura l’attenzione degli spettatori con un intricato intreccio di travestimenti, inganni e amori segreti. In questa commedia degli equivoci, Marivaux mette in scena il classico scambio di ruoli, quello tra padroni e servi, che, pur proponendosi uno scopo chiarificatore, non porta altro se non complicazioni di sentimenti e relazioni. Silvia ama Dorante, ma per studiarne la virtù decide di vestire segretamente i panni della sua cameriera Lisetta. Ma anche Dorante ha avuto la stessa idea: si traveste dal suo servo Arlecchino. Il testo esplora le sfumature dell’amore attraverso lo scambio di ruoli tra i personaggi, offrendo una vivace girandola di emozioni e colpi di scena e distinguendosi per la brillantezza delle interpretazioni e la profondità psicologica. Marivaux offre uno sguardo penetrante sulla metafisica del cuore, evidenziando il trionfo della passione sull’egoismo e le convenzioni sociali, in un’analisi dell’amore e della società. A sovrastare il tutto, un’intrusione visiva che rende la scena quasi un’installazione, come le nuvole di Berndnaut Smilde, anche se qui al posto della nuvola c’è un gorilla warholiano fucsia che indossa una maschera, a emulare gli umani nei loro bizzarri traccheggiamenti, assurgendo a deus ex machina.
"Una nuova traduzione per Marivaux – spiega il regista Antonio Syxty –. Quando faccio teatro la prima cosa è avere a disposizione una lingua che possa produrre un suono coerente con il testo e con il dispositivo che il testo mette in atto, prima sulla pagina scritta e in un secondo momento nella trasposizione organica per la voce. Mi capita - nella vita quotidiana - di notare come spesso scegliamo a caso le parole che pronunciamo. Il più delle volte usiamo le parole con trascuratezza, approssimazione, in modo sbrigativo perché ciò che ci preme è comunicare, ma nello stesso tempo usiamo il dispositivo verbale senza la consapevolezza della sua ricchezza e potenzialità allegorica, semantica, metaforica. Il teatro non può e non deve uniformarsi al quotidiano, soprattutto nel caso di un testo del 1730, che è un dispositivo drammaturgico in grado di creare un disegno raffinato intorno a quelli che sono i meccanismi umani, che regolano verità e rappresentazione di sé e dei propri sentimenti. Per questo ho chiesto a Michele Zaffarano, già traduttore di autori francesi come Francis Ponge, Christophe Tarkos, Michel Onfray, Alain Badiou, Chare Baudelaire, Jean-Marie Gleize e altri di fare una nuova traduzione dal testo originale di Marivaux. Ogni traduzione è un tradimento dell’originale e il teatro è il luogo del tradimento, ma la scelta che si fa del dispositivo verbale è fondamentale, perché prima di ogni altra cosa la parola diventa suono e il suono entra nelle nostre orecchie generando vibrazioni di senso, immaginazione e pensiero. Il dialogo fra traduttore e attori, nella fase di studio del testo, è stato fondamentale per scoprire le differenze culturali dell’uso della lingua contestualizzata in un periodo storico e a un contesto sociale e politico".