Libertà fa rima con responsabilità

“La libertà non è uno scherzo e un divertimento. La libertà ha un altro nome che suona: responsabilità”

Milano, 18 febbraio 2018 - “La libertà non è uno scherzo e un divertimento. La libertà ha un altro nome che suona: responsabilità”. Sono parole di Thomas Mann, nel discorso “Della repubblica tedesca” pronunciato nel 1922, nella stagione tempestosa della Germania democratica di Weimar, travagliata da crisi economica e duri conflitti politici, sino al precipitare nel buio del nazismo. Ed è il primo dei discorsi, dagli anni Venti al 1945, contenuti in “Moniti all’Europa”, ripubblicati da Mondadori con una intensa prefazione di Giorgio Napolitano, che ne legge la lezione d’attualità (“C’è un’enorme ondata di triviale volgarità democratico-plebea che travolge cultura e libertà”). Mann riflette sul ruolo della politica e della cultura, si dichiara “conservatore” dei valori della democrazia. E dai luoghi dell’esilio, la Svizzera prima e poi gli Usa, ammonisce i concittadini sul dramma della dittatura e della “regressione barbarica” che tradisce la tradizione d’una Germania “particolaristica e plurale”.

Parole forti, che mostrano ancora oggi una straordinaria efficacia. Perché, nel mutare della storia, rischiamo “Il tramonto del liberalismo occidentale”, come teme Edward Luce, analista del “Financial Times” che, nel libro edito da Einaudi, con prefazione di Gianni Riotta, scrive di crisi del “patto civile” (la sintesi tra crescita economica, libertà individuali e giustizia sociale che ha retto le democrazie occidentali) e ne individua radici antiche e forme nuove, su cui speculano gli interpreti del “sovranismo”, nome odierno d’una cultura che nel Novecento ha lasciato tracce drammatiche, il “nazionalismo”. E avverte che, al di là del “populismo”, il pericolo vero è “l’incertezza” o peggio “il vuoto”. E “il caos”. Che può travolgere i risultati positivi della democrazia liberale, da proteggere e rilanciare. Sfida difficile. Perché la democrazia non è più “ovvia”, come l’abbiamo ritenuta per anni. Quel “tramonto” prelude a “una possibile fine del mondo”? Si augura proprio di no uno dei massimi pensatori del Novecento, Zygmunt Bauman, anche nelle pagine postume di “L’ultima lezione”, frutto d’una conversazione con Wlodek Goldkorn per Laterza. Ricorda Goldkorn: “Nei suoi ultimi saggi traspariva la convinzione che un mondo fosse finito e che un altro non fosse ancora cominciato. E’ venuto a mancare il nesso tra libertà, democrazia, benessere. E non perché gli intellettuali abbiano tradito, ma perché la società come l’abbiamo conosciuta, con il suo legame tra capitale e territorio e tra territorio e classe, qui, in Occidente, non c’è più. La politica ha cambiato segno e significato dal momento che poteri anonimi sono più forti di ogni tentativo di ristabilire il primato della politica”. Cosa fare? Bauman non pensa siano possibili ritorni “alle vecchie utopie”. Parla di “strategia illuminista”, da ripensare però radicalmente. Come? “Cercando di preservare il lume della ragione per i tempi bui”.