Chi fu Gianni Brera: partigiano in Val d'Ossola, poeta sportivo, "raccontista" della Bassa

Vita e opere del gran lombardo di San Zenone Po: amava la buona cucina e fece la guerra senza mai sparare a un uomo. Morì in un incidente d'auto il 19 dicembre 1992

Giovanni Luigi Brera nasce a San Zenone Po (Pavia) l’otto settembre 1919 (coetaneo di Fausto Coppi, il campione più amato). Suo padre Carlo è sarto-barbiere. Gianni, Gioânn-fu-Carlo, ricorderà sempre unicamente il padre come sarto. Se il padre è socialista ateo, la madre, Maria Ghisoni, è una donna devota, dolce, “esile e delicata come un uccellino”.

A tredici anni manifesta l’intenzione di diventare scrittore, anzi “raccontista”. Da adolescente scrive racconti verghiani, poesie carducciane. Frequenta per due anni a Milano il Liceo Scientifico “Vittorio Veneto”, con l’aiuto economico della sorella maestra Alice, “sorella-madre”. A San Zenone torna nelle vacanze estive: sui sabbiali del Po, lui, centromediano della rappresentativa milanese “boys”, spopola tra i compaesani ammirati.

Da Milano si trasferisce a Pavia, al liceo scientifico “Torquato Taramelli”: la sua prima pagella registra un “cinque” in italiano. Eccelle in storia, filosofia e disegno. La vocazione a diventar pittore abortisce al solo pensiero che il padre l’avrebbe certamente preso «a calci in culo».

Si iscrive a Scienze Politiche a Pavia, dove frequenta le bettole degli scrittori pavesi, che «toscaneggiavano in maniera insopportabile». Pratica anche la boxe, «non per istinto guerriero, ma per fare la doccia due o tre volta la settimana».  Intorno al 1940 consolida il suo rapporto sentimentale con la dolce Rina Gramegna (si conoscevano già da ragazzi): si sposeranno nel giugno del 1943

Allo scoppio della Seconda Guerra si arruola volontario nel corpo dei Paracadutisti «per non farsi dimenticare» dai direttori di giornali che già lo conoscevano e per una delle reazioni romantiche del suo carattere. Nel 1942 discute la tesi di laurea su “Utopia” di Tommaso Moro. Scrive una commedia ispirata al “Miles gloriosus” di Plauto. Il 15 gennaio 1944, la moglie Rina partorisce il primo figlio che muore di polmonite dopo pochi mesi, senza che Brera l’abbia potuto vedere.

Fa esperienza partigiana nella Val D’Ossola con la X brigata Garibaldi. Ne uscirà «senza aver mai sparato a un uomo», ma essendo invece più volte sparato. Al termine della Guerra viene assunto alla “Gazzetta dello Sport”. Viene assegnato all’Atletica: scriverà con Calvesi nel 1953 “Atletica, regina delle Olimpiadi”. Della “rosea” diventa direttore nel 1949, appena trentenne, dopo memorabili cronache dal primo Tour vinto da Coppi.

Da direttore della Gazzetta può finalmente occuparsi di calcio. Comincia a inventarsi il suo linguaggio personalissimo, a farsi paladino del “contropiede”, conveniente all’Italia squadra “femmina”. Lasciata La Gazzetta va da free lance negli Stati Uniti. Torna per far parte della grande avventura de “Il Giorno” di Enrico Mattei e collabora al “Guerin sportivo” del quale diventerà anche direttore.

Nel 1960 vede giocare Rivera: ne resta estasiato e si aspetta da lui che diventi il nuovo Schiaffino. Rivera resta invece Rivera, un grande “mezzo giocatore". Brera ha tre figli maschi: dopo Carlo, sono arrivati Franco e Paolo, che diventeranno quasi d’inerzia giornalisti, scegliendo poi ciascuno una propria vocazione: di pittore per Carlo, di musicista per Franco, di scrittore-saggista per Paolo.

Tutti lo cercano: dopo “Il Giorno”: ancora “La Gazzetta”, poi di nuovo “Il Giorno”, quindi “Il Giornale” di Montanelli, per approdare nel 1982 a “La Repubblica” di Scalfari. Nel 1969 pubblica per Longanesi il suo primo romanzo “Il corpo della ragassa”. Il libro avrà una versione cinematografica con Enrico Maria Salerno. Cinque anni prima era uscito sempre da Longanesi Addio bicicletta”, la biografia romanzata del ciclista Eberardo Pavesi.

Altri due romanzi seguiranno: “Naso bugiardo” per Rizzoli nel 1977 e, nel 1984, il più ambizioso e commercialmente meno fortunato di tutti “Il mio vescovo e le animalesse” per Bompiani. Tutti e tre i romanzi sono ambientati nella natia Bassa di San Zenone Po, ribattezzato Pianariva.  

Diventa uno dei più noti personaggi del mondo della cultura, dello sport e dello spettacolo in Italia. A settant’anni è un uomo stanco, che ha perduto la sua Luzt zu fabulieren (voglia di favoleggiare), come ha perduto i suoi più rutilanti eroi della domenica, dall’abatino Rivera a Rombo di tuono Riva.

Muore nella notte tra il 18 e il 19 dicembre del 1992, in un incidente di macchina nella sua Bassa, tra Codogno e Casalpusterlengo, reduce dall’ultima “pacciada” presso il ristorante “Sole” di Maleo. In un amen, come aveva sempre desiderato per fuggire gli oltraggi dell’«orrida vecchiezza».