"Mio figlio con gli amici morti nell’inferno della Moby Prince"

Sondrio, l’83enne Mina Belintende : "Una strage per la quale aspettiamo giustizia da 30 anni"

Sergio Belintende in un’immagine sorridente

Sergio Belintende in un’immagine sorridente

Sondrio - «Sentire ai tg la notizia che ricorre il trentennale della più grande tragedia marittima in Italia, con 140 morti fra cui il mio adorato figlio Sergio, è stato come riaprire una ferita che, in realtà, non si è mai chiusa...". A parlare è mamma Mina Ternelli, 83 anni, ottimamente portati, radici nella provincia di Modena, lei valtellinese da sempre: nella terribile collisione della Moby Prince con una petroliera, a Livorno, rimase ucciso il figlio 31enne che con un collega e un amico stava raggiungendo la Sardegna per lavoro. All’epoca la tragedia di Sergio Belintende, 31 anni, Carlo Ferrini, 32enne, e il coetaneo Giorgio Gianoli, tutti di Sondrio, scosse l’intera Valtellina.

"Sergio col socio dell’azienda Carlo erano diretti al villaggio turistico “Baia delle Ginestre“, realizzato da imprenditori di Bormio - racconta Mina -. Si sarebbero trattenuti 3-4 giorni a finire dei lavori. La loro ditta era specializzata nell’installazione di antenne e sistemi di sicurezza. Il loro amico Giorgio, appassionato sub, decise di seguirli: “Mentre voi lavorate io faccio qualche immersione“, disse. Mia nuora Daniela aveva l’abitudine di guardare, la mattina, il televideo e viene a sapere che un traghetto ha urtato una petroliera e si è incendiato e pensa sia quello in cui s’era imbarcato suo marito. Mi chiama e mi dice di contattare l’agenzia di viaggi che aveva venduto i biglietti. E mentre io, alle 10.30, sono al telefono con il titolare, che mi conferma che è quello, al Tg danno i primi nomi delle vittime, nel cui elenco c’è anche il mio Sergio, il collega e il loro amico...".

Cosa pensa sia successo ? "Un errore, un imperdonabile superficialità. Quella sera trasmettevano la partita di Coppa Uefa Barcellona-Juve. Hanno inserito il timone automatico e c’è stato lo scontro e i soccorsi, poi, si sono concentrati solo sull’Agip Abruzzo, mentre i passeggeri della Moby morivano in quell’inferno di fuoco. Non abbiamo avuto giustizia, dopo 30 anni". "Mio fratello viveva per il suo lavoro, era stato un piccolo genio dell’elettronica, una vocazione scoperta a soli 6 anni - ricorda Elena, 50 anni -. Un vero mago nella materia. Nell’alluvione della Valtellina lo portarono in elicottero su una cima per installare un impianto radio, per i soccorsi. Quella maledetta notte lui e gli altri passeggeri indossavano i giubbotti di salvataggio, in attesa dei soccorsi che non sono mai arrivati".