Aree dismesse a Sesto San Giovanni, restano i fantasmi di cemento

Dal Decappaggio al Vulcano, i piani di riconversione industriale sono di fatto fermi al palo

Aree dismesse a Sesto

Aree dismesse a Sesto

Sesto San Giovanni (Milano), 22 agosto 2018 - Si ricomincia da capo, ma con progetti già avviati. Il peggio di quello che poteva accadere a vent’anni dalla dismissione delle grandi fabbriche. Così, a parte qualche nuovo complesso residenziale, un cento commerciale e un polo di ricerca e produzione, le aree ex industriali di Sesto continuano a restare vuote. E i piani urbanistici, tra scadenze e aggiornamenti dovuti dal passare del tempo, continuano a cambiare. Stop ai sogni faraonici, si cerca ora la sostenibilità finanziaria, con soddisfazione delle proprietà. A essere accantonata sempre nel nome dell’economicità, è la conservazione delle vestigia della città del secolo scorso. Così, l’amministrazione ha deciso di togliere il vincolo dalla facciata dell’edificio curvo di via Trento, un tempo portineria dello stabilimento Decappaggio dell’area Falck-Vulcano. Pezzo di memoria storica, per anni ponticellato e messo in sicurezza dal privato che, domani, potrebbe anche essere abbattuto. «L’abbiamo svincolata perché per noi non ha senso spendere 6 milioni di euro, di cui 3 a carico del Comune, per realizzare minialloggi che non servono – replica l’assessore all’Urbanistica Antonio Lamiranda -. L’obiettivo lì è generare più servizi e verde diffuso. Più che un grande parco, vorremmo un collegamento ecologico verso il Restellone».

È il piano integrato d’intervento sul Vulcano a dare più problemi. Comune e proprietà, il Gruppo Caltagirone, sono lontani dal rimettere in fila le cifre dell’operazione, pur avendo condiviso il metodo. A settembre ci sarà da trovare la quadra, altrimenti la Giunta procederà unilateralmente con una delibera, che la società potrà eventualmente impugnare. I conti non tornano sul valore economico: dopo 20 anni gli uffici non sono neanche in grado di dire quanto è stato già realizzato e quanto resta da costruire. «La convenzione del 1998 non è chiara e gli allegati non coerenti tra loro – spiega il dirigente del settore Urbanistica, l’architetto Paolo Riganti -. Alcune richieste di riconteggio da parte della proprietà sono corrette». Come la revisione del quadro economico che riguarda il polo Alstom Grid: è vero che sono state eseguite opere per 8 miliardi di vecchie lire e non per 12, ma quelle erano state le prescrizioni all’operatore, che ha realizzato tutto quello richiesto dalla variante. «Dal foglio delle opere a scomputo per noi il monte complessivo è di 154 miliardi di lire, per l’operatore 128. Per noi ha realizzato il 56% delle opere pubbliche, per lui il 72% - continua Lamiranda -. Faremo una ricognizione e auspichiamo sarà condivisa. Se aumenta la superficie maturata, il problema sarà dove farla ricadere. Ora dobbiamo dare funzione alla rimanenza passando dal nuovo Piano di governo del territorio».