Pavia, figlio riconosciuto da avvocato gay: la mamma condannata per falso

La donna avrebbe falsificato l’atto di nascita

Il bambino si trova in una comunità con la mamma.  Il tribunale dei minori sta valutando se darlo in adozione

Il bambino si trova in una comunità con la mamma. Il tribunale dei minori sta valutando se darlo in adozione

Pavia, 16 giugno 2018 - Una prima  sentenza, per la vicenda dell’avvocato pavese gay accusato di aver riconosciuto un bimbo non suo. La madre del piccolo, cittadina albanese, è stata condannata dal Gup di Pavia a un anno e quattro mesi di reclusione per falso in atto pubblico. La donna, assistita dal difensore Simona Bozzi, aveva scelto di essere giudicata con il rito abbreviato, che consente di ottenere lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. Il Gup ha dichiarato la falsità dell’atto di nascita del bambino per quanto riguarda la paternità, condannando la donna al risarcimento del danno nei confronti del suo stesso figlio. Come la donna, sono stati indagati nello stesso ambito anche l’avvocato pavese e il suo compagno. 

Nel 2016 infatti, il piccolo fu registrato all’anagrafe del Comune in provincia di Pavia in cui i coinvolti vivevano, col cognome dell’avvocato che nel frattempo aveva sposato la donna albanese. Lei, al momento delle nozze, era già in avanzato stato di gravidanza. Il funzionario del municipio cui l’avvocato si era rivolto per la registrazione però sapeva che il legale era omosessuale e che aveva un compagno da molti anni, insospettito quindi segnalò l’accaduto alle autorità per verificare la situazione. E così scattò l’inchiesta. L’avvocato e il suo compagno furono accusati di alterazione di stato, entrambi saranno giudicati con rito ordinario. Per loro il dibattimento si aprirà a luglio. Indagata anche la donna, che però appunto scelse un’altra strada giudiziaria. Del caso si occupò la Digos di Pavia, l’accusa mossa ai tre era quella di essersi accordati per il pagamento di settantamila euro in cambio del piccolo. La signora, insieme al fidanzato, durante la gravidanza era andata a vivere in casa della coppia, poi aveva posato il legale. 

La difesa dell’avvocato, affidata a Niccolò Angelini, già presidente di Arcigay Pavia, ha sostenuto sin dall’inizio che l’intenzione dei due imputati fosse quella di dare il proprio cognome al piccolo per garantire a lui una vita più dignitosa, spiegando di aver agito unicamente per il bene dell’infante, non per “acquistare” il neonato. Al contrario, la difesa della madre biologica del bambino ha sostenuto che la donna, straniera, non avesse dimestichezza con la burocrazia italiana e che materialmente non si presentò lei a registrare la nascita del piccolo. Il futuro del bambino, che oggi ha due anni e vive in una comunità protetta con la madre, sarà deciso da un procedimento aperto avanti il tribunale dei minori di Milano, per stabilire eventualmente se darlo in adozione. Si attende anche il responso riguardante il possibile disconoscimento paterno.