"Ho perso mio padre, ha preso il Covid in ospedale"

Walter Semperboni di Valbondione racconta i giorni terribili della malattia del padre. E spera che la pandemia "faccia un repulisti di questa classe politica"

Walter Semperboni e, accanto, il papà Antonio Luigi

Walter Semperboni e, accanto, il papà Antonio Luigi

Valbondione (Bergamo), 4 febbraio 2021 - "Mio papà aveva voglia di vivere. E io avevo voglia di sfogliare ancora le pagine della sua vita". Intervistare Walter Semperboni, ex vicesindaco di Valbondione in Valseriana, non è facile, il racconto sulla vita e sugli ultimi giorni del padre Antonio Luigi, 80 anni, è commovente e straziante. Ma è quasi un obbligo, per non dimenticare il martirio della terra bergamasca e le ragioni di una battaglia, quella del comitato Noi denunceremo, che a distanza di quasi un anno non ha perso vigore.  

Walter, com'era suo padre? "Aveva 80 anni ma di vecchio non aveva nulla. La sua giornata tipo: si alzava alle 9, faceva colazione con mia mamma, curavano l'orto, il pollaio, poi con l'Ape scendevano dalla frazione di Lizzola a Valbondione per giocare a carte. Era bello parlare con lui. Era stato all'estero, primo presidente dell'Avis locale, vicesindaco". 

Cos'è successo? "A fine febbraio mi ha chiesto di portarlo al pronto soccorso perché non si sentiva bene. L'ho portato all'ospedale di Piario, aveva un principio di polmonite ed è rimasto lì".

Ha pensato subito al Covid? "In realtà non si sapeva ancora molto, sembrava un'influenza. In più lui aveva i polmoni rovinati avendo fatto il minatore. Dopo qualche giorno, il primo marzo, al telefono mi ha detto: "Dicono che sono guarito". Quando l'ho rivisto a casa, però, mi sono accorto che qualcosa non andava, non era il mio papà. Cadeva dal letto, rimetteva, sembrava più morto che vivo. Ho chiamato l'ambulanza, è tornato in ospedale a Piario".

Qual era la situazione a quel punto? "Il pronto soccorso era stra pieno, decine di persone, gente che tossiva. Tutti senza mascherina. La dottoressa mi ha dato conferma che papà aveva il Covid e che lo avrebbero tenuto lì. Quando l'ho sentito al telefono mi ha detto frasi terribili: 'Non ho fame, non respiro, mi hanno messo in una camera dove mi stanno facendo morire'. Anche nei giorni successivi ci sentivamo tutti i giorni ma con telefonate che non auguro a nessuno, ripeteva che lo stavano lasciando morire. Io cercavo di tirarlo su di morale ma intanto ero in contatto con l'Asl per avvisarli e sapere cosa dovevo fare. Eravamo allo sbando".

La situazione poi è precipitata. "Sì, a metà settimana mi ha chiamato: 'Ormai muoio, non portarmi a casa, portami direttamente al cimitero'. Aveva paura di infettare i paesani. Il venerdì mio nipote ha chiamato per sapere notizie del nonno, mi ha richiamato e mi ha detto che dall'ospedale gli avevano assicurato che in uno o due giorni sarebbe guarito. Non ho fatto in tempo a mettere giù che mi ha richiamato l'ospedale: 'Suo papà non risponde alle cure, preparatevi...'. Mi sono messo a piangere, ho detto che aveva la scorza dura, ho chiesto di intubarlo. Mi hanno risposto 'Ha 80 anni...'. L'8 marzo era il suo compleanno, il 13 marzo ho ricevuto l'ultima telefonata: 'Suo papà è morto'. Mia mamma stava male e non si alzava dal letto, io ho perso 10 chili in dieci giorni, non sapevo dove sbattere la testa".

Cos'ha fatto? "Ho pensato a come portarlo a casa, sapevo che i morti li stavano trasportando con i camion militari e volevo evitare. Ho chiamato le pompe funebri, sono riuscito a salutarlo fuori da casa sua, con l'Ape. L'ho salutato con la fascia da vicesindaco".

Perché ha aderito al comitato Noi denunceremo? "Perché non voglio stare zitto. Perché mentre vivevo il mio dolore la sera ricevevo chiamate di aiuto: 'Walter, riesci a farci avere una bombola di ossigeno?'. Era straziante, qualcuno sono riuscito ad aiutarlo, qualcun altro no. Per questo ho aderito: non bisogna far passare in sordina questa tragedia. E' chiarissimo che c'è stata negligenza da parte di Stato e Regione. A Valbondione morivano quattro, cinque persone all'anno. A marzo 2020 ne sono morte quindici". 

Cosa si sarebbe potuto fare di più? "In valle avevamo un dottore di Nembro che non ha mai smesso di andare di casa in casa. Antibiotici, ossigeno: nessuno dei suoi pazienti è morto. Penso che se mio padre non fosse andato in ospedale si sarebbe salvato. Anche il primario di Piario mi disse che se l'avessero fatto uscire due giorni prima forse sarebbe ancora vivo, perché il virus l'ha preso in corsia, nei primi giorni di ricovero". 

Come si sente dopo quasi un anno da questa tragedia? "In quesi mesi eravamo in guerra, al mattino ci alzavamo e aspettavamo le campane a morto, è stato uno strazio. Ora abbiamo un'immunità di gregge ma viviamo comunque male, alberghi e bar sono chiusi, anche qui nei paesini di montagna. Prima sono morti i nostri cari, ora se continuiamo così molti avranno problemi economici e psicologici".

Cosa vorrebbe nei mesi a venire? "Chiarezza, la chiederò finché sarò su questa terra. E vorrei che qualcuno paghi per ciò che è successo. Non parlo di galera né di soldi, mi basterebbe che questa pandemia facesse un repulisti della classe politica e che nei luoghi chiave della salute mettano qualcuno che sappia di salute. Fontana e Speranza hanno sempre detto che loro dormono sonni tranquilli. A Fontana ho scritto che anche mio padre dorme sonni tranquilli, ma non si può più svegliare. E poi per la valle chiedo più attenzione: qui siamo con un solo medico, se succede di nuovo qualcosa siamo spacciati".

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