Posta vignette di Maometto su WhatsApp, donna condannata a morte per blasfemia in Pakistan

Per la 26enne Aneeqa Ateeq prevista la pena capitale: sarà giustiziata per impiccagione

Un libro del Corano (Ansa)

Un libro del Corano (Ansa)

Islamabad, 19 gennaio 2022 - Condannata a morte per aver postato alcune vignette sul profeta Maometto. E' la pena infliitta a una donna di 26 anni. Una donna pachistana di religione musulmana è stata condannata a morte in Pakistan per aver inviato un testo e vignette del profeta Maometto, ritenuti «blasfemi», via WhatsApp, in base a una legge antiblasfemia tra le più severe al mondo ma di rado applicata fino alla massima pena, quella capitale.

Aneeqa Ateeq, 26 anni, è stata arrestata nel maggio 2020 e accusata di aver condiviso «contenuti blasfemi» su WhatsApp, tra cui le vignette, secondo una memoria diffusa dal tribunale. La sentenza è stata emessa a Rawalpindi. Il tribunale ha ordinato che Aneeqa Ateeq sia «impiccata a morte» e l'ha anche condannata a 20 anni di prigione.

Sono circa 80 le persone incarcerate in Pakistan per blasfemia, la metà delle quali è stata condannata all'ergastolo o alla pena di morte, secondo la Commissione statunitense sulla libertà religiosa nel mondo. I difensori dei diritti umani ritengono che le accuse di blasfemia vengano applicate ingiustamente in Pakistan, a volte per risolvere controversie personali. Anche se spesso riguardano i musulmani, prendono di mira soprattutto le minoranze religiose, in particolare i cristiani. A dicembre, il direttore di una fabbrica originario dello Sri Lanka è stato linciato e bruciato da una folla inferocita dopo essere stato accusato di blasfemia.

«L'accusata Aneeqa Ateeq è condannata a morte e a pagare un multa di 50.000 rupie. Sarà impiccata a morte», si legge nell'ordinanza a cui l'agenzia Ansa ha avuto accesso. Se la donna non pagherà la multa, pari a circa 250 euro, sarà sottoposta a reclusione per ulteriori sei mesi. La sentenza capitale deve comunque passare al vaglio dell'Alta Corte di Lahore. Tra i casi più noti di accuse di blasfemia portate all'estremo in Pakistan, quello di Asia Bibi, la donna cristiana rimasta per otto anni nel braccio della morte fino a quando la Corte Suprema del Pakistan non l'ha assolta nell'ottobre 2018.