Cina in ginocchio sulle sanzioni russe, borse asiatiche giù: "Non vogliamo essere colpiti"

I listini cinesi stanno vivendo un’altra giornata drammatica sul timore che anche Pechino e le sue aziende paghino i legami con la Russia

Il leader cinese Ki Jinping e il premier Li Keqiang

Il leader cinese Ki Jinping e il premier Li Keqiang

Pechino - La Cina non vuole essere “colpita” delle sanzioni occidentali decretate contro la Russia in risposta all’invasione dell’ Ucraina. Lo ha sottolineato il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, alla luce delle preoccupazioni degli Usa secondo cui Mosca ha chiesto aiuto alla Repubblica popolare e questa sarebbe disponibile a dare sostegno finanziario e militare. Una circostanza che avrebbe conseguenze su Pechino, ha avvertito Washington. 

“La Cina non fa parte della crisi, tanto meno vuole essere colpita dalle sanzioni”, ha detto Wang, in una telefonata con il suo omologo spagnolo, Jose Manuel Albares. Intanto, non a caso, si registra una seduta difficile per le Borse asiatiche, con i listini cinesi che stanno vivendo un’altra giornata drammatica sul timore che anche Pechino e le sue aziende possano essere oggetto di sanzioni per via dei legami con la Russia.

 Hong Kong sta perdendo il 6,5%, Shanghai il 5%, Shenzhen il 4,6% in un contesto di preoccupazione crescente anche per l’andamento della pandemia di Covid-19, che ha spinto Pechino a dichiarare nuovi lockdown. Il clima di sfiducia che circonda la Cina non è stato neppure scalfito dai buoni dati arrivati da Pechino su investimenti, vendite al dettaglio e produzione industriale. Meno agitata la seduta per gli altri listini dell’area con Tokyo che ha chiuso appena sopra la parità (+0,1%) e Seul e Sydney hanno limitato i cali, rispettivamente, allo 0,9% e allo 0,7%.

 Negativi i future sull’Europa e Wall Street, con i mercati che scontano, oltre ai timori per il conflitto in Ucraina, la preoccupazione per la stretta monetaria della Fed, che mercoledì dovrebbe annunciare un rialzo dei tassi nel tentativo di contenere un’inflazione che a febbraio è arrivata a toccare il 7,9%. La paura che i lockdown in Cina possano impattare sulla domanda del più grande importatore al mondo di petrolio hanno fatto scivolare il greggio sotto quota 100 dollari al barile (-5,8% a 97 dollari il wti e -5,8% a 100,7 dollari il brent), calo che incorpora anche le flebili speranze di progressi nei negoziati per un cessate il fuoco in Ucraina.

 Non si salva dal clima di sfiducia neppure l’oro (-1,4% a 1.933 dollari l’oncia) mentre il rendimento dei treasury americani è in lieve calo al 2,11%. .