Chernobyl: il disastro della centrale nucleare 35 anni dopo

Da allora l'Italia ha curato oltre 25mila bambini bielorussi, ucraini e russi, vittime della radioattività nell'area

Uno negozio di souvenir nell'area della centrale ucraina di Chernobyl

Uno negozio di souvenir nell'area della centrale ucraina di Chernobyl

Chernobyl (Ucraina) - Oggi saranno trascorsi 35 anni esatti dal disastro di Chernobyl, il piu’ grave incidente nella storia del nucleare civile insieme a Fukushima. “La sua onda lunga - commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - come abbiamo documentato, produce effetti devastanti sull’ambiente e sulla salute di milioni di persone ancora oggi, e non conosce frontiere. Lo abbiamo dimostrato anche con i progetti di solidarieta’ che dagli anni 90 ci hanno permesso di monitorare e curare oltre 25mila bambini bielorussi, ucraini e russi, vittime della radioattivita’ ancora presente in quelle aree“.

Il disastro avvenne all’1.23 nella centrale una località a circa 100 km a nord di Kiev e poco distante dal confine con la Bielorussia, in un’Ucraina che ancora faceva parte dell’Urss. Si verificarono due esplosioni a distanza di pochi secondi l’una dall’altra. La prima fu una liberazione di vapore surriscaldato ad altissima pressione che sparò in aria il pesante disco di copertura  che chiudeva il cilindro ermetico contenente il nocciolo del reattore. Il disco ricadde verticalmente sull’apertura, lasciando il reattore scoperto. Pochi secondi dopo il grande volume di idrogeno e polvere di grafite ad altissima temperatura  a contatto con l’aria produssero una seconda esplosione, più potente, che distrusse la copertura dell’edificio del reattore. Seguì un violento incendio della grafite, che per alcune ore disperse nell’atmosfera un’enorme quantità di isotopi radioattivi, i prodotti di reazione fissili contenuti all’interno. Fu il primo incidente nucleare classificato come livello 7, il massimo livello della scala INES degli incidenti nucleari.

Le esplosioni non furono di tipo nucleare – non si trattò di una reazione a catena incontrollata di fissione nucleare come nelle bombe atomiche – ma furono termochimiche: il surriscaldamento del nocciolo, dovuto all’improvvisa perdita di controllo sulla reazione nucleare, portò al raggiungimento di una temperatura elevatissima che fece arrivare la pressione del vapore dell’impianto di raffreddamento a un livello esplosivo. Poco dopo l’1 di notte, il reattore numero 4 esplose come una pentola a pressione: è una violenta spinta di vapore a far saltare in aria il coperchio di oltre mille tonnellate che serviva a chiudere ermeticamente il nocciolo. 

L’incendio sprigionò una grande nuvola, densa di materiale radioattivo, che cominciò a contaminare tutta l’area attorno alla centrale: 336mila le persone subito evacuate. La conta dei morti fu estremamente vaga e oscillò dai trenta ai centomila. Nei giorni successivi il vento fa percorrere centinaia di chilometri alla nuvola. Prima verso la Bielorussia e i Paesi Baltici, poi Svezia e Finlandia, e ancora Polonia, Germania settentrionale, Danimarca, Paesi Bassi, Mare del Nord e Regno Unito. Tra il 29 aprile e il 2 maggio è la volta di Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Austria, Italia settentrionale, Svizzera, Francia sud-orientale, Germania meridionale e ancora Italia, stavolta centrale. Tra il 4 e il 6 maggio la nube torna verso l’Ucraina, poi Russia meridionale, Romania, Moldavia, Balcani, Grecia e Turchia. Tutte le aree dove è piovuto sono da considerarsi a rischio, il suolo potrebbe essere contaminato. L’emissione di vapore radioattivo si interrompe soltanto il 10 maggio. 

 Per Legambiente, quel dramma ancora vivo è un monito per l’Europa e l’Italia“ che hanno il dovere e la responsabilita’ di chiudere in sicurezza con il nucleare e la sua pericolosa eredita’, e di contrastare lo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi. In questo percorso, l’individuazione di un Deposito Nazionale per i rifiuti a media e bassa attivita’ e’ un tassello fondamentale”.