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Lo scrittore Giorgio Scerbanenco
Milano - Duca Lamberti e la Milano di Giorgio Scerbanenco come non li avete mai visti. Escono dalla penna e dall’estro di Paolo Bacilieri quindici tavole, tratte dai graphic novel “Venere privata” e “Traditori di tutti”, in mostra alla Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi.
Luogo dell’esposizione, aperta da questo mercoledì fino al 23 luglio, il Mvsa (Museo valtellinese di Storia e arte) di Sondrio. A intervenire durante l’evento di inaugurazione sarà anche Cecilia Scerbanenco, figlia dello scrittore, traduttrice, anche curatrice dei libri del padre nonché responsabile degli Archivi Scerbanenco.
Il tema della Milanesiana di quest’anno è la timidezza (e i suoi contrari), l’arte di saper ascoltare e osservare il mondo, e i mondi degli altri. Che filtro adottava – o sceglieva di non adottare – suo padre per ascoltare il mondo intorno a sé?
"Mio padre era attentissimo agli altri, aveva una straordinaria sensibilità e curiosità verso l’essere umano in genere. Il suo scopo, come uomo e scrittore, è sempre stato quello di comprendere le motivazioni dell’agire delle persone. Mia madre mi raccontava come gli bastasse vedere una persona che lo incuriosiva per strada o al ristorante per costruirci tutt’attorno una storia o un personaggio. In verità, mio padre era molto timido. Forse anche per questo riusciva ad ascoltare davvero le persone, direi quasi senza filtri. Spesso diceva che gli sarebbe piaciuto laurearsi in Medicina o Neurologia per capire i meccanismi più profondi e reconditi della mente umana".
Giorgio Scerbanenco in questi due romanzi descrive la sua Milano. Pensa che vedendola oggi la riconoscerebbe?
"Io credo di sì. E credo anche che oggi Milano si stia riavvicinando a quella che mio padre descriveva già nei romanzi degli anni ’40. Una città sfaccettata, contraddittoria, attraversata da tensioni, ingiustizie. Ma anche una realtà dinamica e dalle enormi potenzialità. Sì, questa è ancora la sua Milano".
In che modo i romanzi di Scerbanenco sono valorizzati dal disegno? C’è qualcosa in particolare che Bacilieri riesce a cogliere e trasmettere?
"Delle tavole di Bacilieri mi ha colpito – e ho apprezzato – soprattutto il bianco e nero. È una scelta forte e, per la verità, in contraddizione con il colorismo dei romanzi, pervaso di tinte accese: le stesse che in quegli anni comparivano prepotentemente sulle passerelle della moda. Ma, proprio come quella di mio padre, la Milano colta dall’arte di Bacilieri è quotidiana, apparentemente tranquilla, attraversata da una criminalità ordinaria, sottotono – e, forse, per questo anche più inquietante".