"Le canzoni dei Decibel? Le reinterpreto al piano"

Il disco di Silvio Capeccia della storica band (con Ruggeri e Muzio) in versione strumentale

Silvio Capeccia

Silvio Capeccia

Milano, 23 agosto 2020 - Per i più integerrimi cultori del mondo Decibel l’idea di staccare la spina all’irruenza punk di un brano come “Contessa” può assomigliare da vicino a quella di bere una Coca light. Ma Silvio Capeccia, che di quell’epopea è artefice e co-protagonista, la pensa in maniera diversa. E nel nuovo album “Silvio Capeccia plays Decibel - Piano solo”, sul mercato dall’11 settembre, il tastierista milanese, classe ’57, prova a spostare il fuoco sul lato strumentale delle canzoni scritte con Enrico Ruggeri e Fulvio Muzio dai tempi del Liceo Berchet.

Silvio, dagli esperimenti di psicoacustica nella musica ambient studiati nelle università a un album per piano in chiave “lockdown” ce ne corre.  «Durante l’isolamento mi sono trovato costretto a fare di necessità virtù. Parecchi brani dei Decibel sono nati per pianoforte, a cominciare da “L’ultima donna” o “Noblesse oblige”, quindi è stato abbastanza facile riarrangiarli. Su altri ho lavorato un po’ di più».

Cosa aggiunge e cosa toglie a queste canzoni l’idea di spegnere il microfono di Ruggeri? «Gli dà tutta un’altra dimensione. Non essendo un pianista classico, però, le mie non sono variazioni sul tema, ma solo il tentativo di suonare al piano in modo rock-punk di pezzi nati per chitarra e basso. Con questo progetto vorrei offrire a chi conosce il repertorio dei Decibel con l’impronta della voce di Enrico un punto di vista diverso. Fornirgli un altro approccio».

E il diretto interessato che ne pensa? «Concorda, visto che io ho messo l’idea iniziale, ma poi quella di trasformarla in un disco è venuta da lui».

Dei Decibel anni Duemiladieci manca la sanremese “Lettera al Duca”. Perché? «Perché è uno di quei brani in cui l’arrangiamento per pianoforte soffre molto il trasporto delle voci. Quindi meglio puntare su altro».

Dopo essere tornati assieme, Fulvio Muzio, che nella vita di tutti i giorni fa il medico nutrizionista al Sacco, ha tirato fuori la sua anima punk tingendosi i capelli. Lei ha avuto qualche tentazione da idolo delle masse? «No, assolutamente. Ho i capelli bianchi dall’età di quarant’anni».

Tinta a parte, Muzio ha studiato da medico e ha fatto il medico. Ma a lei a cosa è servita la laurea in marketing alla Bocconi? «Negli anni Ottanta, dopo l’album “Novecento”, ho avuto esperienze in un paio di multinazionali, ma poi sono tornato a tempo pieno alla musica».

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