Covid in Lombardia, corsa contro il tempo tra respiratori e vaccini

Salgono i contagi, le terapie intensive pronte ad aprire letti. La Moratti incontra i sindaci per pianificare la fase 2 della campagna antiCovid

Vaccino anti Covid

Vaccino anti Covid

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Ieri erano 468 i letti di terapia intensiva Covid occupati negli ospedali lombardi. Due più di venerdì scorso e 19 meno di due settimane fa, quando però l’oscillazione quotidiana, sempre a cifra singola, segnava più spesso un “meno” che un “più”; mentre da domenica il segno è stato sempre “più” (+6 ieri), tranne che mercoledì. Nei reparti Covid, dove il saldo che è sempre tra ingressi e uscite per dimissioni o decessi (ieri sono stati 72 e la strage ha superato le 26mila vittime in undici mesi) si muove su una forchetta più larga (ieri -37 e +10 l’altro ieri, lunedì -76 e martedì +119), i ricoverati sono 3.614 cioè oltre 300 in più, rispetto a Capodanno. 

Ed è lì, nei reparti Corona che dal picco sopra ottomila della seconda ondata (inferiore ai dodicimila ricoverati toccati nella prima) a fine novembre avevano invertito la rotta, che intorno all’Epifania s’è iniziato a notare quell’appiattimento della discesa del virus fotografato dai grafici dell’Ats Metropolitana nel report di ieri, che col dato ormai consolidato dell’8 gennaio segna tra Milano e Lodi un Rt per data tampone a 1.03 sia sulla media dei sette che dei 14 giorni, e un Rt medio per data di ricovero appena sotto l’1 (0,98 e 0,99). Numeri che suonano un allarme a chi sta nella trincea degli ospedali: «Poiché gli indicatori epidemiologici indicano una ripresa dell’epidemia», il coordinamento delle terapie intensive lombarde sta preparando «un piano di espansione che prevede la possibilità di aumentare in tempi rapidi il numero di posti letto intensivi» dedicati ai pazienti Corona. Anche se, precisano dal coordinamento, per ora non è stata data indicazione di «riconvertire alcun letto» nelle terapie intensive non-Covid dove il numero di posti «è progressivamente aumentato nel corso delle ultime settimane», approfittando della tregua di dicembre. 

In una Lombardia sul ciglio tra l’arancio e il rosso, è ancora negli ospedali che la rincorsa all’impatto del virus s’incrocia con la corsa per soffocarlo col vaccino. In base ai dati aggiornati alle 20 sul contatore ministeriale ieri i 65 hub erano arrivati a 136.912 prime dosi di Pfizer somministrate: il 58,1% delle 234.645 sinora arrivate, e il 40,7% di quelle da somministrare per concludere il primo giro d’iniezioni ai 336 mila appartenenti alle categorie indicate dal commissario all’emergenza per esser vaccinate in questa prima fase, cioè personale anche non sanitario degli ospedali pubblici o che lavorano per la sanità pubblica, operatori e volontari dell’emergenza, medici di base, di guardia e pediatri, operatori e ospiti delle Rsa. Considerando il gap temporale tra le iniezioni e la loro registrazione - e il fatto che mercoledì quelle quotidiane siano arrivate a 21.837, raggiungendo quota 126.648 -, si avvicina l’obiettivo d’accelerazione chiesto dal neoassessore al Welfare Letizia Moratti ai 65 hub, cioè coprire con la prima dose il 95% del personale interno e il 60% degli aventi diritto loro assegnati entro domenica sera. «Abbiamo una percentuale di adesione del personale sanitario di quasi il 90% e leggermente più bassa, intorno all’85%, del personale non sanitario degli ospedali, oltre il 90% per gli ospiti delle Rsa e un po’ più bassa sul personale sanitario delle Rsa», ha spiegato il responsabile della campagna lombarda Giacomo Lucchini, assicurando che questo primo ciclo di vaccinazioni si concluderà con i richiami «entro fine febbraio».

L’assessore Moratti ieri ha incontrato in videoconferenza i sindaci dei 12 capoluoghi lombardi, e il confronto ha avuto per oggetto la riforma della riforma Maroni ma soprattutto la campagna vaccinale: la vicepresidente della Regione s’è impegnata ad aprire un tavolo con i suoi tecnici e quelli indicati i primi cittadini sull’organizzazione della seconda fase, che da marzo uscirà da ospedali e Rsa per iniziare a somministrare l’antiCovid alla popolazione (in testa, ha chiarito Lucchini, ultraottantenni, ultrasessantenni, malati cronici, “fragili” e disabili al di fuori delle strutture ricomprese nella prima fase). La vaccinazione di massa, che i primi cittadini chiedono il più possibile «capillare» sul territorio, ha bisogno, oltre che di dosi sufficienti e sin da subito almeno di un raddoppio del ritmo e del personale vaccinatore, anche di spazi alternativi nei quali effettuare le iniezioni: strutture temporanee come le “primule” annunciate nelle piazze ma anche fiere e palazzetti dello sport, coi quali i sindaci possono dare una mano. Secondo Lucchini ne servono subito almeno 250 (inclusi i 65 hub) per avere un centro di somministrazione ogni 40mila abitanti. 

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