Milano, notte tra i fantasmi del boschetto: viaggio a Rogoredo / NOSTRO REPORTAGE

Nel girone infernale. Il sorriso rassegnato di Anna: esco dalla comunità e vengo qui

Controlli notturni dei carabinieri nel boschetto di Rogoredo

Controlli notturni dei carabinieri nel boschetto di Rogoredo

Milano, 11 febbraio 2019 - Anna si gratta nervosamente il tallone con le mani gonfie e sporche di terra. Braccia e gambe sono piene di buchi, ormai è costretta a iniettarsi le dosi alle estremità dei piedi. E il suo tic, ripetuto all’infinito, è quello di sfregarsi con forza il punto in cui si infilerà l’ago. Seduta sulle scale del cavalcavia di via Sant’Arialdo, la porta d’accesso al girone infernale di Rogoredo, racconta lucida la sua vita: «Ho 32 anni e mi faccio da 10, ma l’eroina l’ho conosciuta 5 anni fa, qui al boschetto: sono di Lodi, ho frequentato un corso da parrucchiera, però non sono mai riuscita a completarlo». I capelli se li taglia da sola, non si sa con cosa, considerato che vive stabilmente nell’area verde a due passi dalla stazione: «Visto, sono ancora capace...». Per sé non vede un futuro, è entrata in comunità per sei volte, e per sei volte è scappata: «Prendevo il treno e venivo qua, non vedevo l’ora». Ha una figlia di 13 anni, data in adozione «a una famiglia che non le fa mancare nulla».

Neppure quella bambina è riuscita a darle la forza di smettere: «All’epoca avevo 19 anni, e non la volevo: non mi ha dato motivazioni allora, figuriamoci adesso». In altri contesti sarebbe un discorso difficile da comprendere, fatto da una mamma. Qui è un’altra storia: le prospettive si ribaltano, le parole sono secche e crude, le convenzioni sociali si trasformano in steccati inutili e lontanissimi nello spazio e nel tempo. Non esiste la paura di essere giudicati, solo quella di non avere abbastanza soldi per il prossimo punto di «nera».

Ore 22 di sabato, il nostro viaggio a Rogoredo inizia così, con un pugno dritto alla bocca dello stomaco: «Non credo che ne uscirò», riflette Anna. Poi sfodera un sorriso gentile e rassegnato, prima di rannicchiarsi in un angolo con la siringa tra le mani. Di notte servono le torce per orientarsi nel boschetto. Appena i carabinieri di Compagnia Monforte, stazione Romana Vittoria e Radiomobile imboccano il sentiero che porta alla collinetta dei pusher, le vedette iniziano a fischiare: è il segnale convenuto, gli spacciatori spariscono nel buio, protetti come sempre dalle sentinelle.

Restano gli eroinomani, seduti in cerchio attorno al fuoco: nessuno alza la testa, qualcuno prepara il documento anticipando la richiesta dei militari. Ci sono ragazzini e «tossici» sulla cinquantina, disoccupati e professionisti. L’eroina è come una livella: «Una volta – confida un investigatore – abbiamo incontrato un architetto: aveva uno studio ben avviato, poi gli è morta la madre ed è entrato nel tunnel». Il controllo prosegue in via Orwell, l’altra piazza di spaccio: il muro eretto lungo i binari dell’Alta velocità ha spostato il problema qualche decina di metri più avanti, direzione San Donato. Lì, sotto i piloni di cemento, c’è un ragazzo con i pantaloni abbassati alle ginocchia e l’ago in pugno, puntato sulla parte interna della coscia sinistra. Di fianco a lui c’è un materasso lercio: è il suo giaciglio, inzuppato dall’acqua piovuta al pomeriggio. A pochissima distanza, c’è la postazione del pusher, ovviamente vuota in quel momento: una sedia malferma, il bilancino di precisione e un cartone pieno di siringhe pronte per l’uso.

Alle 22.40, i carabinieri del Radiomobile si spostano davanti alla stazione, dove i City Angels stanno distribuendo pasti caldi: un ragazzo non riesce a stare in piedi, si accascia sulle grate del parcheggio. Arriva l’ambulanza: niente di grave, il venticinquenne viene assistito dai sanitari del 118 e trasportato in codice verde al pronto soccorso del Policlinico. Si sentono urla provenire dal binario 1, c’è un uomo con un trolley: non aspetta alcun treno, bivacca da ore scambiando due parole con tassisti e viaggiatori di passaggio. Alle 22.53, si ferma il regionale per Pavia: scendono tre ragazzi con le facce scavate, danno la «buonasera» ai militari e si avviano ciondolanti verso via Sant’Arialdo. Christian, invece, sta aspettando il convoglio che lo riporterà a Tortona: «Tra mezz’ora torno a casa». Ha 21 anni e dice che al boschetto non ci entrerà più: «Uno mi ha rincorso con un grosso sasso, era geloso della ragazza con cui sono entrato stasera: sono pazzi». Ha un diploma da meccanico, «ma un anno fa ho perso il lavoro e non sono riuscito a trovare niente». Domani ha un colloquio con una società che fa consegne a domicilio: «Giuro che ci vado e lo passo, è l’ultima volta che mi vedete».

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