Polenta e luna di Cècu Ferrari poeta di cortile

Andrea

Maietti

Primi brividori e puntuale voglia di polenta. Antonio Cècu Ferrari conta e canta sulla riva dell’Adda: è un poeta di cortile, d’aia, d’osteria. Che non significa essere autore minore. Non si è minori se si scrive in dialetto, né se non si può frequentare una cattedrale della cultura.

Chiese il mio maestro Gioânn al grande Alfredo Di Stefano: "Dove ha imparato usted a trattare così divinamente la pelota?". E lui: "A l’unversidad de la calle". Le poesie di Cècu: quanta sapienza metrico-formale, magari inconscia! "Pulénta e lüna" per esempio: "Oh che bèla lüna stasera. La füma cume la mè pulenta. I nigui la fan cur e rigulà, e la füma, la füma, la füma. La lüna, là, volta nel ciel seren, la rid sül mund che ‘l bufa un fiad bastard, cun la sò facia s-céta e sensa trüch.".

La polenta, emblema del sostentamento dei poveri non infelici che eravamo, e la luna, la dimensione del sogno di cui anche i poveri o forse soprattutto i poveri si nutrono. Che fa la polenta? Fuma, cioè lentamente volita verso l’alto, verso il cielo, come fanno i sogni. Sparita dal tavolo continua a vivere in cielo, diventa luna.

"Che fai tu luna in ciel?" Leopardi riveste la luna di bella lontana invidiata condizione di imperturbabilità rispetto al male di quaggiù.

La luna di Cècu ride, è felice come i poveri che l’hanno gustata nella polenta. Il mondo, anche quello dei poveri, può avere fiato bastardo. Lei dal cielo, passando leve-ridente, dice di un mondo che può essere altro, se si vive con un viso e un’anima schietti e senza trucco.

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