Medico di base: missionario o professionista?

Giorgio

Fiorentini*

Ormai in tutte le cronache giornalistiche, nei bar, nei metrò, negli uffici si citano casi di medici di famiglia che chiudono la propria attività con un preavviso non congruo per i propri pazienti, alcuni si dimenticano di fare questa comunicazione o esiste ormai una relazione costante con i pazienti di tipo impersonale e informatico-amministrativo. Contatti WhatsApp o digitali senza una relazione "vestita" del "prendersi cura". È vero? Non è vero? Certo è che tutto questo crea “rabbia civile”. Il Medico di famiglia (in Lombardia sono circa 6.000) assiste e cura un certo numero di persone (dette “scelte”). Rivendica e sottolinea il fatto che ricopre il ruolo di professionista della salute e quindi non ha una dipendenza giuridica dal Ssn. Ha una dipendenza “funzionale”, viene pagato a fronte di un contratto che si basa sulle “scelte. La sua dipendenza dal Ssn non è giuridica, ma funzionale, viene pagato a fronte di tariffe variabili che creano una cifra di remunerazione complessiva annua in funzione del numero dei pazienti. Il Medico di famiglia è un libero professionista che offre un servizio sanitario ai propri pazienti assistiti e clienti e di cui le componenti sono: la competenza medica della prestazione ed il prendersi cura. Quindi il Medico di famiglia: missionario con vocazione o professionista? Nella visione nazional-popolare o nell’immaginario collettivo c’è una percezione del medico che per vocazione e per quasi missione gestisce il rapporto con i pazienti. La cessazione del rapporto, quindi, esige comportamenti non in logica di relazione con cittadino suddito-amministrato, ma con cittadino cliente e con comportamenti di relazione conseguenti. Però è intuitivo che essendo professionisti autonomi i Medici di famiglia devono avere comportamenti coerenti con le esigenze variegate del paziente come cliente. Il Medico di famiglia non è un missionario, ma un professionista che sconta la vocazione e la missione in sé.

* Università Bocconi

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