Marco e il figlio suicida a 21 anni: "Barricato nella sua stanza, rifiutava ogni aiuto"

Il viaggio di Marco Armenante alle origini di un disagio arrivato alle più tragiche conseguenze. Il figlio Giuseppe era diventato un hikikomori quando era 15enne

Emergenza hikikomori

Emergenza hikikomori

Milano - ​Giuseppe è sempre stato "un ragazzo chiuso e introverso", che un giorno "si è barricato nella sua stanza" e ha smesso di comunicare con i genitori. Aveva appena compiuto 21 anni quando, nel marzo 2014, si è tolto la vita gettandosi nel vuoto, dopo aver scavalcato la finestra della sua cameretta all’ottavo piano di un condominio nel quartiere di Lambrate.

Suo padre, Marco Armenante, torna con i ricordi a quella "notte maledetta" tra il 24 e il 25 marzo, e agli anni di infinita sofferenza che l’hanno preceduta. Un viaggio alle radici di un disagio giovanile arrivato alle più tragiche conseguenze, attraverso le pagine del libro “Mio figlio-L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli“ (Csa Editrice) scritto per "onorare la memoria" del ragazzo e per lanciare un messaggio agli altri genitori: "Non sottovalutate i segnali di disagio".

Marco Armenante ha raccontato la storia del figlio che nel 2014 si è tolto la vita
Marco Armenante ha raccontato la storia del figlio che nel 2014 si è tolto la vita

Marco, quando si sono manifestati i primi problemi? "Giuseppe era il primogenito dei nostri tre figli. Un bambino amatissimo, dal carattere chiuso e difficile. Verso i 15 anni ci ha detto che desiderava diventare donna, ha iniziato a farsi crescere i capelli lunghi e a indossare abiti femminili. Nello stesso periodo è iniziata anche la sua reclusione. Dialogare con lui era difficilissimo, perché si era chiuso completamente. Era diventato un hikikomori - anche se all’epoca noi genitori non conoscevamo questo termine poi entrato in uso - ed eravamo completamente soli di fronte a questi problemi".

Come è stato l’approccio, nell’ambiente scolastico? "Lo abbiamo iscritto al liceo scientifico a Lambrate, ma si è fermato al primo anno. Poi ha frequentato una scuola per truccatori ed estetisti, un corso per parrucchieri, ma sempre in maniera discontinua. Infine, dopo il fallimento di quelle esperienze, si è chiuso in casa. Mio figlio non aveva la serenità interiore per riuscire a condurre una vita normale. Abbiamo provato a farlo seguire da uno psicologo, ma rifiutava ogni forma di sostegno. Solo con la nonna materna riusciva ad aprirsi, e nel mio libro ho voluto raccontare anche questo rapporto di amore fra nonna e nipote".

Quando ha iniziato a scrivere il libro? "Ho sempre amato scrivere, e un mese dopo la tragedia ho iniziato a mettere sulla carta i miei sentimenti. Mio figlio, prima di uccidersi, ha lasciato una lettera: “Ho sempre odiato il mio lato maschile, mi sento più femmina da sempre“. Sono partito dalla lettera per fare un viaggio a ritroso nel tempo, affrontando il nostro rapporto e gli errori che ho commesso. Il giorno del funerale ho scoperto che mio figlio aveva anche un fidanzato, conosciuto online".

Quale messaggio vuole trasmettere ai genitori? "Consiglio di trascorrere più tempo possibile con i figli, quando sono piccoli. Quando crescono, e il dialogo sembra interrompersi, bisogna parlare sempre e cercare di affrontare i problemi, non far calare il silenzio".

Come ha reagito la sua famiglia, di fronte alla tragedia? "La morte di Giuseppe ci ha fatto crollare il mondo addosso. Anche i suoi fratelli ne hanno risentito, ma adesso stanno seguendo la loro strada. Il secondogenito si è laureato e ora vive in Olanda. Anche la terza si è appena laureata in giurisprudenza in Statale. Quando si è iscritta sognava di diventare un magistrato, per aiutare i ragazzi fragili come il fratello".

 

 

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