Call center, guerra vinta in Tribunale a Milano. "Paghe adeguate e stop agli abusi"

I giudici milanesi accolgono una raffica di ricorsi presentati dagli operatori del colosso Almaviva. I lavoratori: nel settore condizioni pessime anche negli appalti pubblici

La denuncia è partita dal collettivo Almaworkers

La denuncia è partita dal collettivo Almaworkers

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Milano - La guerra dei call center approda in Tribunale. Una raffica di sentenze, circa quaranta in primo grado fra cui alcune già confermate dalla Corte d’Appello di Milano, hanno dato ragione agli operatori del colosso dei call center Almaviva, che hanno fatto causa denunciando un inquadramento inferiore rispetto alle loro mansioni, quindi con paga più bassa, e un uso "selvaggio" del part time. I giudici, quindi, hanno stabilito per loro risarcimenti che vanno dai cinque ai dodicimila euro lordi. "Stiamo vincendo tutti i ricorsi – spiega Angelo, attivista del collettivo di lavoratori Almaworkers – scoperchiando prassi che riguardano anche altri grossi call center, dove si vivono le stesse violazioni dei diritti. Potrebbe essere il primo passo di una battaglia più ampia".

A condurla sono operatori, assistiti dagli avvocati Massimo Laratro e Antonio Pironti, che passano la giornata a rispondere ai clienti di società private e agli utenti di uffici pubblici, che appaltano a società esterne i il servizio di call center. Una torta che in Italia è spartita da pochi colossi, come Almaviva, Covisian o Comdata, con dipendenti che migrano da uno all’altro quando subentra un cambio d’appalto.

Almaviva e Covisian sono già al centro di una lunga vertenza per il licenziamento di 543 lavoratori impiegati sulla commessa ex Alitalia, con un presidio permanente a Palermo, città più impattata dai tagli. Ora a Milano si apre un nuovo fronte, con la raffica di sentenza che si traducono in maxi-risarcimenti che l’azienda deve versare ai suoi dipendenti. Nei ricorsi i lavoratori lamentano l’inquadramento al terzo livello del contratto collettivo Telecomunicazioni, quando invece per le mansioni svolte spetterebbe loro il quarto livello, con una retribuzione maggiore. Inoltre contestano un cambiamento “arbitrario“ da parte dell’azienda di turni e orari del dipendenti part time, senza un accordo come prevede la legge.

"La ricorrente non si limitava a trasmettere al cliente le informazioni acquisite dal sistema e a seguire procedure predeterminate mediante semplice consultazione video di uno script di cui dare lettura al cliente e degli step da seguire", scrive il Tribunale del Lavoro di Milano motivando l’accoglimento del ricorso di una operatrice che all’epoca lavorava sulla commessa Sky-Fastweb, che ha ottenuto una sentenza favorevole già confermata in appello. "Lo svolgimento dei compiti assegnati richiedeva altresì attività di valutazione ed elaborazione della richiesta del cliente, dei dati e delle informazioni acquisite".

Mansioni tipiche di un quarto livello, e non del terzo. Alla donna, quindi, spetta una differenza retributiva di 5.040 euro. E dalle testimonianze raccolte nel corso delle udienze emerge uno spaccato del lavoro nei call center. "Per motivi di tempo di solito procedevamo in autonomia – ha spiegato un collega davanti al giudice – avremmo dovuto chiedere l’autorizzazione al team leader ma di solito non lo si faceva mai. Avevamo tempi tassativi: dovevamo stare sotto i cinque minuti".

Per Almaviva una stangata anche sui presunti abusi legati al part time: i giudici bacchettano la "predisposizione unilaterale del turno da parte del datore di lavoro", condannando anche in questo caso l’azienda a versare un risarcimento. Per Almaviva, invece, la collocazione oraria part time era perfettamente "legittima", così come l’inquadramento dei lavoratori al terzo livello del contratto invece che al quarto. Posizioni che, per ora, non hanno convinto i giudici.

 

 

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