La dottoressa di Carugate: ho un conto in sospeso con l’Himalaya

Annalisa Fioretti, medico e alpinista non professionista, è partita per raggiungere la cima del Lhotse

Annalisa Fioretti, 38 anni,  mentre medica uno sherpa

Annalisa Fioretti, 38 anni, mentre medica uno sherpa

 Carugate (Milano) 7 aprile 2015 - "Una spedizione è un grande viaggio con la v maiuscola e il raggiungimento della cima è solo una parte di questo". Annalisa Fioretti, medico e alpinista non professionista, non fa mai cose banali. Tra le altre cose, la 38enne di Carugate, ex ricercatrice in Nepal per il CNR, è un’alpinista che ha cercato il corpo di un amico morto sul Gasherbrum I. Detiene il record italiano femminile di salita, essendo arrivata agli 8450 metri di quota sul Kangchenjunga (terza cima più alta del mondo), ora è pronta per una nuova avventura. Annalisa è partita da Malpensa per sfidare gli 8516 metri del Lhotse (la salita inizierà dalla seconda metà di aprile).

Fioretti perché affronta questa avventura? "Mi sono innamorata della montagna. Da quando nel 2003 sono andata per la prima volta in Nepal per il CNR, sono rimasta affascinata da quei luoghi. Himalaya mi aveva sempre incuriosito, ma mai avrei pensato di poterci andare. La vedevo come una cosa irrealizzabile, lontana. All’inizio ero ingaggiata come medico delle spedizioni, poi nel tempo sono partita come alpinista non professionista. Con Lhotse ho un conto in sospeso e voglio chiuderlo…".

Come mai? "Lo scorso anno dovevamo scalarlo. Prima della partenza, sono morti 25 sherpa, abitanti locali del Nepal, per una valanga e per questo non hanno permesso a nessuno di scalare. Nonostante questo, abbiamo tentato e siamo andati lì per tre giorni al campo base, ma alla fine ci hanno rimandato a casa. Quest’anno è la volta buona. L’unico rammarico è non poter fare la doppietta Lhotse-Everest. Il progetto iniziale era di affrontare i due colossi himalayani, ma per problemi di sponsor ho dovuto rinunciare all’Everest".

Utilizzerà le bombole di ossigeno? "No perché per me è come se uno usasse il doping. Se devo scalare la montagna, devo farlo con le mie forze e senza l’aiuto di elementi esterni".

Quanto costa una spedizione? "10. 000 euro. L’Everest invece è molto più oneroso. Per questo, se uno non si può autofinanziare, deve cercare di avere degli aiuti. Io comunque vado anche per portare avanti un progetto umanitario. Vogliamo raccogliere i fondi per creare uno Street Doctor. Si tratta di una tenda attrezzata itinerante con un medico locale che può girare tra i vari villaggi. Nella valle del Makalu, infatti, i vari villaggi distano tra di loro anche 4 giorni di cammino e non avrebbe senso fare un ospedale a valle perché non tutti potrebbero raggiungerlo".

Questo è il suo primo progetto umanitario? "Nel 2012 sono riuscita a far venire qui una bambina del Nepal e l’abbiamo curata. Era cardiopatica, e grazie ad una raccolta fondi, l’abbiamo operata. Per questo per me ogni volta che si affronta un viaggio non ci deve essere solo la cima perché non voglio mai tornare a casa mani vuote".