Sull’Adda la strage dei procioni: sono nocivi

Catturati dal parco perché pericolosi, ora sono quasi estinti. Posti esauriti nei centri, impossibile sterilizzarli e liberarli. Vengono abbattuti

Personale addetto alla cattura con alcuni esemplari messi in gabbia sull’Adda

Personale addetto alla cattura con alcuni esemplari messi in gabbia sull’Adda

Cassano d'Adda  (Milano), 13 novembre 2019 - Tre anni di "caccia" con fototrappole, cattura e requiem per una settantina di esemplari: l’operazione “eradicazione” del procione sull’Adda, firmata da Regione Lombardia e Parco Adda Nord, volge al termine. I superstiti si contano sulle dita di una mano. Per gli animali catturati nel triennio è stata soppressione: mancano centri di custodia, i pochi esistenti sono a saturazione, "e la normativa impedisce qualsiasi ipotesi di rilascio post sterilizzazione". Contro la retata dei procioni in riva al fiume era rimasta lettera morta, già due anni fa, una petizione della Lav corredata da oltre 3.000 firme: vi si chiedeva il rispetto della legge nazionale sulla tutela della fauna selvatica nella parte in cui prescrive il ricorso a ‘metodi non letali’ per il contenimento delle specie invasive. E vi si sosteneva l’inutilità, sul lungo periodo, dell’operazione.

Risale al 2017 l’accordo Regione-Parco Adda Nord sul progetto triennale di eradicazione del procione. Che nella zona rivierasca, probabilmente per via di un rilascio fuorilegge di alcuni anni fa, da qualche anno proliferava. Procione specie "alloctona invasiva e pericolosa ai sensi di legge". L’imprimatur per gli interventi di eradicazione nelle zone di "infestazione", precisano gli uffici competenti di Regione Lombardia, erano arrivati dall’Unione europea sin dal 2014 e a più riprese dal Ministero dell’ambiente. "L’accordo triennale del 2017 – così gli uffici competenti del Pirellone – prevedeva l’attuazione di un progetto di eradicazione della specie che si avvalesse del supporto scientifico e tecnico di professionalità e istituti di ricerca". Circa 140 chilometri quadrati di fascia fluviale a tappeto: a inchiodare le bestiole fototrappole prima e trappole a vivo poi. In tre anni, 70 esemplari catturati già nel primo anno di attuazione del piano. Sulla scelta dell’eutanasia. "Altre soluzioni presentavano rilevanti limitazioni normative, pratiche ed etiche. La detenzione temporanea o permanente di questi animali in cattività è resa complessa dalla mancanza di ricettività nei centri abilitati nel nord Italia. I pochi centri hanno raggiunto la capienza massima possibile. Non si è reputato opportuno, né per il benessere animale, né per una coerente e oculata gestione di risorse pubbliche, ricercare ospitalità al centro-sud Italia".

Impercorribile la via della sterilizzazione e del rilascio: "La norma impedisce il rilascio in natura degli animali catturati, non solo quelli appartenenti, come in questo caso, a specie alloctone". Nessun dubbio sulla pericolosità della specie: "Il procione è portatore del parassita Baylisascaris p. trasmissibile sia agli animali domestici che all’uomo. C’era e c’è un rischio di aggressione diretta della specie nei confronti di animali domestici e uomo; e permane il problema più strettamente ecologico e conservazionistico delle specie autoctone. Il progetto, peraltro, è stato svolto sempre in collaborazione con le associazioni di tutela degli animali".

I prossimi due anni saranno di monitoraggio, "necessario a sancire la riuscita eradicazione. L’assenza di segnalazioni per 24 mesi, a fronte di un costante controllo, è il periodo normalmente utilizzato per sancire la riuscita eradicazione. Le attività vengono svolte da personale formato e specializzato di Università degli Studi dell’Insubria e Università degli Studi di Milano, con il quale il Parco Adda Nord ha sottoscritto un accordo di collaborazione per la realizzazione di attività nell’ambito della ricerca faunistica e sanitaria: in particolare proprio per il controllo delle specie alloctone".