Nevio Scala: "Soffro per l'Ucraina. Ricordi indelebili del paesaggio e delle persone"

L'ex allenatore del "Parma dei miracoli" nel 2002 portò lo Shakhtar Donetsk a vincere il primo campionato della sua storia. Il racconto della sua esperienza

Due stagioni per lasciare un segno indelebile nella storia dello Shakhtar Donetsk, il resto della propria esistenza a cullarsi nei ricordi indimenticabili di un’esperienza che gli ha arricchito il palmares e, soprattutto, spirito e cuore. Nevio Scala, classe 1947, oggi è alla guida di un’impresa agricola attiva nella produzione di vini biologici apprezzati da tutti gli appassionati. Le tensioni e le gioie del mondo del calcio sono definitivamente archiviate. Fra le sue imprese un posto d’onore lo occupa sicuramente il campionato vinto sulla panchina del club arancionero del Donbass, il primo per i “minatori”. Oggi il tecnico di Lozzo Atesino, sui Colli Euganei, segue con apprensione le evoluzioni di una crisi che rischia di sconvolgere una terra da lui tanto amata.

Mister Scala, qual è la sua opinione sulla situazione attuale in Ucraina?

“Sono preoccupato e molto deluso perché pensavo che la diplomazia avrebbe avuto la meglio. Ho l’Ucraina nel cuore e soffro a pensare che la sua gente, soprattutto i cittadini più poveri, potrebbero avere a breve la vita sconvolta. A Donetsk vissi un’esperienza straordinaria, ma non posso dimenticare le difficoltà che incontrava la popolazione comune. C’erano persone per cui era difficile addirittura mangiare una mela o un cetriolo. E saranno sicuramente i poveri a pagare il prezzo più alto a questa crisi”.

Secondo lei ci sono soluzioni possibili per la pace?

“Non conosco personalmente Vladimir Putin, ma se lo vedessi gli suggerirei di segare quel tavolo lungo sei metri in modo da riavvicinare tutti i capi di Stato e gli attori politici per confrontarsi e dialogare, fino ad arrivare a una soluzione pacifica”.

Che ricordi ha della sua avventura in Ucraina?

“Conservo fotografie indimenticabili del paesaggio. Ricordo quando andavo a caccia da solo, muovendomi per distese sterminate di frumento e campi di girasole. Sono un agricoltore e non scorderò mai le immagini di quella terra che, giustamente, era nota come granaio d’Europa”.

All’epoca si percepiva già tensione con la vicina Russia?

“C’erano frange di separatisti che manifestavano il desiderio di riunirsi alla Russa, ma oggi come allora sono convinto che l’intera Ucraina debba essere autonoma nel decidere il suo destino. In questi giorni è difficile capire cosa stia succedendo, ma nessuno deve dimenticare l’effetto devastante che potrebbe avere una guerra sulla parte più povera della popolazione”.

Che ricordi ha del popolo ucraino?

“Straordinari. Anche perché ero a contatto con persone vere, non privilegiati, tifosi che vivevano il calcio con una passione viscerale ed erano legatissimi al loro club”.

A cui ha fatto vincere il primo scudetto…

“Quel successo fu accolto con un entusiasmo enorme. Ho ricordi nitidi della splendida festa celebrata nel centro di Donetsk. Mi ero scritto alcune frasi in russo e quando le pronunciai, venni salutato da un applauso fragoroso. Ma, al di là delle vittorie (anche una coppa nazionale, ndr), sono rimasto legatissimo a quella terra, agli scorci di paesaggio che mi ha regalato e ai suoi abitanti”.

C’è qualche episodio particolare che vuole raccontarci?

“Un giorno mi trovavo in mezzo a un bosco e mi imbattei in un anziano contadino che viveva solo in una casa in mezzo ai campi. Parlava solo nella loro lingua e quando mi vide mi indicò e disse ‘trainer Shakhtar Donetsk’. Poi mi invitò nella sua abitazione e mi regalò tutto quello che produceva. Miele, verdure e tanto altro. Mi accorsi che in una stanza c’era un piccolo televisore, probabilmente mi aveva visto su quello schermo. Quell’uomo era come tutti gli ucraini: povero ma generoso e bello”.

In seguito ha allenato anche a Mosca (lo Spartak, ndr). Che differenze trova fra le due esperienze e le due terre?

“Ho vissuto a Mosca per un anno, ma ci tornerei volentieri. È una città vivacissima e molto bella. Noi del mondo calcistico, poi, siamo privilegiati e ho potuto visitare luoghi e monumenti a cui i turisti non possono avere accesso. Locali, sotterranei, musei. Per non parlare dei monasteri intorno a Mosca, in cui ho potuto assistere a cerimonie che mi hanno toccato nel profondo. Mosca non è città di vie di mezzo. Ho visto ricchezza e lusso, ma ho osservato anche la difficoltà in cui si dibatteva una fascia molto ampia della popolazione. C’è un dettaglio importante, però, che accomuna russi e ucraini, almeno fra la gente comune”.

Quale?

“La dignità con cui sanno vivere, pur in mezzo a mille problemi”.

E’ rimasto in contatto con qualcuno?

“In questi giorni non ho sentito nessuno. Mi sentivo con il capitano Anatoliy Tymoshchuk, che era rimasto a vivere in Germania (la moglie di Scala è tedesca, ndr), dopo la sua esperienza al Bayern Monaco. L’ultima volta ci siamo visti tre anni fa. Fino a due anni fa, poi, il presidente Roman Akhmetov mi mandava gli auguri per Natale e il mio compleanno. Poi ha smesso, forse ha problemi più importante a cui badare. All’epoca, comunque, non si parlava di politica, anche per lo scoglio della lingua. Eravamo completamente dediti al calcio”.

Il calcio, appunto. È forte la passione a Donetsk?

“L’entusiasmo era enorme. Allora lo stadio, il vecchio Shakhtar, era sempre pieno. Ora non so come i tifosi stiano vivendo il distacco dalla città (gli arancionero per ragioni di sicurezza ora giocano a Kiev, ndr). Ed è un peccato che la squadra non possa più giocare alla Donbass Arena, un impianto splendido che ebbi l’onore di inaugurare, grazie all’invito del presidente Akhmetov”.