Birmania: nuove proteste, sale la tensione e si teme la repressione

Oltre mille persone hanno manifestato a Yangon, in Birmania, contro il colpo di Stato del 1° febbraio che ha rovesciato il governo civile di Aung San Suu Kyi.

Rangoon, Birmania, 1995.

Rangoon, Birmania, 1995.

La giunta militare ha bloccato Internet in tutto il Paese per stroncare sul nascere le proteste contro il colpo di stato, ma la rabbia della popolazione aumenta. Decine di migliaia di birmani sono scesi nelle strade di Yangon e di altre città per manifestare contro il golpe di lunedì, senza che la polizia intervenisse. Con i generali che intensificano ogni giorno il loro giro di vite, oggi anche arrestando un australiano che faceva da consigliere economico per Aung San Suu Kyi, il rischio che le proteste vengano represse con la forza sta però aumentando.

Dopo il blocco di Facebook due giorni fa, questa mattina è stata l'intera rete nazionale a essere messa fuori uso, in seguito all'ordine dato dalla giunta ai provider, con tanto di militari nelle aziende per assicurarsi che fosse eseguito. Da poco prima di mezzogiorno, il servizio dati via cavo o sui telefonini è bloccato: accedere a Internet è possibile solo tramite un Vpn, un servizio però che pochissimi birmani avevano finora installato. L'ordine ha esasperato ancora di più la popolazione che si è unita al «Movimento di disobbedienza civile» lanciato pochi giorni fa da un gruppo di medici.

L'atmosfera a Yangon, dove molti manifestanti vestivano il rosso della «Lega nazionale per la democrazia» (Nld) di Aung San Suu Kyi, era più agitata rispetto a quella dei gruppi composti che negli ultimi giorni hanno fatto il gesto delle tre dita di «The Hunger Games», lo stesso dei gruppi pro-democrazia a Hong Kong e in Thailandia. Una sparuta presenza di polizia era sul posto, ma non ci sono stati scontri. La protesta si è dispersa spontaneamente nel tardo pomeriggio, ma per la quinta sera consecutiva molti residenti hanno iniziato a battere pentole per far sentire ai militari quanto è forte il loro dissenso.

Nel frattempo è stato arrestato anche Sean Turnell, un professore australiano che da anni era consigliere di Suu Kyi per la sua politica economica. Lo ha comunicato lui stesso, senza ancora sapere di quale reato sia accusato. Finora si contano almeno 150 arresti tra politici e critici della società civile, ma decine di giornalisti e attivisti pro-democrazia si sono nascosti per paura di trovarsi la polizia alla porta. La determinazione esibita dall'esercito nell'ultima settimana ha spiazzato molti, ancora increduli che i timori di un colpo di stato si siano concretizzati.

Nell'incertezza sui prossimi passi del generale Min Aung Hlaing, diversi analisti ipotizzano che l'annunciata intenzione di tornare a elezioni dopo lo stato di emergenza di un anno possa essere reale. Ma prevedono anche che l'esercito voglia nel frattempo mettere mano al sistema elettorale, trasformandolo dall'attuale maggioritario secco - che favorisce nettamente l'Nld di Suu Kyi - a uno proporzionale. Anche se il partito vicino all'esercito perdesse le elezioni, com'è probabile, il divario con l'Nld sarebbe così minore, e il 25 percento dei seggi garantiti ai militari dalla Costituzione potrebbe consentire loro di far parte di un governo di coalizione con altri partiti minori. Una democrazia ibrida simile a quella che i militari della vicina Thailandia hanno costruito dopo il golpe del 2014, e senza gli estremi che fanno diventare il Paese un paria agli occhi della comunità internazionale.