Da Lecco a Bangkok: lo chef Marco Ravasio porta i sapori lombardi in Thailandia

Ai clienti internazionali lo chef lombardo propone ossobuco, risotto giallo e cotoletta alla milanese con il purè. "La cucina italiana è molto più riconosciuta oggi, ha surclassato quella francese"

Marco Ravasio, chef de "Il Bolognese" ristorante italiano a Bangkok

Marco Ravasio, chef de "Il Bolognese" ristorante italiano a Bangkok

Marco ha finito il suo turno di lavoro, chiede al suo staff di portargli una pizza con prosciutto di Parma. Siamo seduti in un bellissimo portico, io faccio compagnia con un sorbetto al limone e un tiramisù. A pochi metri, un ragazzo gusta dei tagliolini al tartufo in una forma di formaggio. Un’ordinaria scena di vita italiana, se non fosse che ci troviamo a Bangkok, in Thailandia. Marco Ravasio è lo chef e direttore de “Il Bolognese”, circa quaranta dipendenti, uno dei più famosi ristoranti italiani in Asia, di proprietà di Giancarlo Bonazza, imprenditore originario di Bologna. La storia di Marco Ravasio parte dalla Lombardia, da Lecco, dove è nato, e da San Pellegrino Terme, dove si è diplomato come operatore alberghiero. Una vita intorno al mondo, prima in Europa, poi ai Caraibi e infine in Thailandia, a Phuket e Bangkok, a portare gusti e sapori italiani, da oltre ventidue anni. Una storia di successo in un settore che in Italia sta vivendo una crisi di personale senza precedenti, ma che da sempre presenta opportunità di carriera straordinarie per gli italiani, nel nostro Paese e nel mondo. Come ha iniziato il lavoro in cucina, fin da giovane? Ho iniziato a lavorare molto giovane, già durante la scuola, per potermi pagare l’affitto, avevo scelto di lasciare il convitto per avere più libertà. Durante e dopo la scuola lavoravo come stagionale, a Santa Margherita Ligure, Follonica e d’inverno nelle Dolomiti. Ho iniziato come aiuto cuoco, perché è necessario imparare a conoscere tutte le partite di una cucina. Fare l’aiuto cuoco in ogni sezione della cucina permette di diventare capo partita. Normalmente l’ultima è quella dei secondi, che è considerata la più difficile. Una volta passata quella potresti avere la base per diventare chef di cucina. Come è iniziato il lavoro all’estero? Ho iniziato a Jersey, nella Manica, in un ristorante gestito da italiani. Poi sono tornato a Milano, ho lavorato da Gualtiero Marchesi nel bistrot alla Rinascente. Mi è stato offerto poi di lavorare, a ventiquattro anni ai Caraibi, a Saint Martin, poi tornai da Marchesi, poi di nuovo ai Caraibi, a Bermuda, dove sono rimasto quattro anni. Queste occasioni si presentano generalmente grazie alle connessioni che sviluppi con i colleghi e superiori. Come è arrivato in Thailandia? A ventotto anni scelsi di andare via da Bermuda per una delusione d’amore. Un mio collega mi propose un ruolo a Phuket, località turistica, in una catena alberghiera. Era il 2000, all’epoca non era semplice reperire prodotti italiani. Ma qualche italiano iniziò a vedere l’opportunità di business: ci fu il primo importatore di mozzarella, poi seguirono tutti gli altri. Nel 2006 mi spostai a Bangkok dove lavorai per dieci anni, non solo come chef ma anche come consulente, per l’apertura di ristoranti, anche in Birmania. Com’è suddivisa la clientela de “Il Bolognese” a Bangkok? All’incirca 70% asiatici, tra Thailandesi, Taiwanesi, cittadini di Hong Kong, Giappone ecc… Il resto sono turisti. Principalmente serviamo thailandesi e stranieri che vivono a Bangkok, anche perché operiamo in una zona residenziale e di ambasciate. Abbiamo anche thailandesi che hanno studiato in Italia e amano la nostra cucina e la nostra lingua. Come si sposa la cucina italiana con il modo di mangiare asiatico che è orientato alla condivisione? Un asiatico che mangia in un ristorante italiano non mangia come noi. In Italia ognuno ha la propria portata, si inizia dagli antipasti e poi i primi o i secondi ecc… In Asia vengono ordinati più piatti, magari due persone possono ordinare cinque piatti, perché vogliono provare un po’ di tutto. La cucina italiana però non prevede porzioni piccole. Dividono i piatti, unendo anche antipasti e primi o secondi piatti. La tavola in Thailandia è molto “sociale” e conviviale. Quali sono le differenze a livello di gusto? La differenza basilare è che se mangi asiatico o thailandese al tavolo trovi peperoncini, salse piccanti, salse agrodolci, e lo chef sei tu a tavola. Arriva il piatto ma lo sistema il cliente, come lo preferisce. In Italia il piatto arriva “già pronto”. Chi vuole più limone, chi vuole la salsa di pesce, chi vuole più dolce ecc… In Thailandia si è abituati a sapori molto forti. Una pasta al pomodoro semplice potrebbe piacere meno di un’amatriciana, ad esempio. Cosa unisce il modo di vivere dei thailandesi e degli italiani? Ci sono molte similarità tra thailandesi e italiani: l’abitudine di stare molto all’aperto, mangiare fuori, la socialità, l’umorismo, il modo di vivere. Questo ci unisce. Come arrivano i prodotti mediterranei in Thailandia? Ho appena ricevuto dei branzini dalla Francia. L’Italia sconta un problema di logistica su alcuni prodotti. Su altri è più semplice. Asparagi, tartufo… arriva tutto via aereo in pochissimo tempo. La mozzarella italiana arriva in Thailandia via aereo, o anche in nave, attraverso dei processi di fast freezing. C’è anche chi produce qui: bufala e burrata. Importano il caglio e a volte il latte, e producono in Thailandia. Sono prodotti molto buoni. E dalla Lombardia che piatti propone a Bangkok? Dalla Lombardia l’ossobuco, il risotto giallo, la cotoletta alla milanese con il purè. Le paste ripiene invece sono basate sulla cucina di Bologna. Propongo ogni tanto anche qualche stufato e il cotechino. Che trend vede nella cucina italiana in Asia? La cucina italiana è molto più riconosciuta oggi, ha surclassato la cucina francese, che un tempo era più popolare, anche per la vicinenza con il Vietnam e i rapporti con la Francia. Anche i vini italiani sono sempre più apprezzati. I vini sono considerati un bene di lusso quindi tassati ulteriormente. Anche sulla carne: per noi è un fiore all’occhiello poter portare una Chianina o una Fassona, anche se dobbiamo pagarci diverse tasse. Tornerebbe in Italia? Da turista, vengo ad aprile. Per il resto continuo a lavorare qui, e a portare i sapori italiani in questa terra.