Trenord, il divorzio dalle Fs spegne il cervellone

Milano, la nuova sala operativa di Fiorenza controlla sicurezza e traffico sull’intera rete. Investimenti e assunzioni, ora è tutto da rifare

Sala operativa treni

Sala operativa treni

Milano, 22 luglio 2018 - Divorziare, si sa, costa molto di più che sposarsi. E nella separazione che Trenord, l’azienda che gestisce in Lombardia il servizio ferroviario locale, dovrà affrontare non mancheranno occasioni di scontro e di sprechi. Linee, dipendenti, treni, contratti di fornitura, centri di manutenzione, tecnici: tutto dovrà essere spacchettato, diviso fra le due società che nasceranno, una di proprietà della Regione, l’altra del gruppo Ferrovie dello Stato. Si tornerà all’antico e l’opera è complessa e produrrà anche effetti paradossali.

Un caso emblematico rischia di essere quello della grande (e nuova) sala operativa di Fiorenza, negli stabili di proprietà del gruppo Fs, dove lavorano gomito a gomito cento persone specializzate, che si alternano in tre turni per coprire 24 ore di servizio, sette giorni su sette. Arrivano, naturalmente, dalle vecchie Ferrovie Nord e da Trenitalia, ma per lavorare alla “torre di controllo” che ogni giorno smista il traffico di oltre 2.300 corse per 750mila passeggeri, hanno fatto ore di formazione specifica, per usare computer e apparecchiature che da sole costano circa 100mila euro e sono capaci di analizzare lo stato di efficienza dei convogli e addirittura controllare le attività della security in tempo reale. Il 23 marzo del 2015, davanti all’ad Trenord Cinzia Farisé, il taglio del nastro e le congratulazioni dell’Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria, perché «l’azienda ha capito che la manutenzione ha un ruolo chiave nella sicurezza». Un fiore all’occhiello? Sì, ma presto appassito. Nell’operazione “spacchettamento”, infatti, la grande struttura dovrà probabilmente chiudere. I treni dovranno circolare sugli stessi binari, ma guidati da società diverse. E le centrali operative saranno due. Conseguenza? Cento persone in più da assumere e formare, una nuova sala da attrezzare, formazione e computer da comprare. E soprattutto le due strutture da far dialogare fra loro, per garantire sicurezza e puntualità. Un caos annunciato. E costi alti.

Tutto nasce dal piano che è nato sull’onda dell’emergenza. Treni vecchi (quelli passati a Trenord in eredità da Fs), problemi di puntualità e soldi (tanti, troppi) da investire per svecchiare la flotta. Risultato, impossibile trovare un accordo per cedere l’intera società a Trenitalia. Da qui l’idea: dividere tutto. Partendo dal rapporto treni-chilometri percorsi. Il 45% a Trenord e il 55% a Trenitalia. Alla prima, da rifondare, vanno le linee (circa una decina) con mezzi nuovi e una frequenza oraria di un convoglio ogni mezz’ora. Sostanzialmente, le linee di Ferrovie Nord, le Suburbane comprensive del Passante, che però generano meno ricavi: i biglietti sono quasi tutti urbani. A Ferrovie dello Stato, invece, i treni vecchi (con trent’anni di vita in media) che passeranno con frequenze di un’ora e collegano tratte più lunghe, con biglietti più redditizi, ma con disagi che si annunciano notevoli. I convogli, infatti, dovrebbero essere cadenzati per fermare in ogni stazione. Anche sulle tratte lunghe. Tempi impossibili per i 370mila viaggiatori che saranno ereditati da Trenitalia, che rischiano di essere considerati di Serie B rispetto agli altri 380mila che ogni giorno useranno il servizio regionale. Non solo. Ci saranno problemi anche sul fronte del personale. I contratti di Trenord garantiscono stipendi più elevati di quelli di Fs, e serviranno più dipendenti. Perché oggi sulle linee controllori e macchinisti passano quasi indifferentemente su tratte di competenza Fnm e dello Stato. E in futuro non sarà più così.