Buon compleanno a Liliana Segre, ultima testimone della Shoah

Senatrice a vita, compie oggi 91 anni. Gli auguri da tutto il mondo politico e dalla società civile

La senatrice a vita Liliana Segre, testimone della Shoah

La senatrice a vita Liliana Segre, testimone della Shoah

Nata il 10 settembre 1930, compie oggi 91 anni Liliana Segre, la più nota testimone italiana della Shoah. E per lei piovono auguri da tutto il mondo delle istituzioni e dalla politica. In testa il Presidente della Repubblica, sergio Mattarella, che già l’aveva nominata sentarice a vita il 19 gennaio 2018 «per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale». Superstite dell’Olocausto, dal 15 aprile 2021 è presidente della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza.

Nata a Milano, in una famiglia di discendenza ebraica, visse col padre, Alberto Segre, e i nonni paterni, Giuseppe Segre (affetto dalla malattia di Parkinson) e Olga Loevvy. La madre, Lucia Foligno, morì quando Liliana non aveva neanche compiuto un anno. Di famiglia laica, Liliana ebbe la consapevolezza del suo essere ebrea attraverso il dramma delle leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali venne espulsa dalla scuola che frequentava.

Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la nascose presso degli amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 provò, assieme al padre e due cugini, a fuggire a Lugano, in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all’età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni.

Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio. Venne subito separata dal padre, che non rivide mai più e che poi morì il 27 aprile 1944. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo (provincia di Como); dopo qualche settimana anche loro vennero deportati ad Auschwitz e uccisi nelle camere a gas il giorno dell’arrivo, il 30 giugno 1944.

Alla selezione, Liliana ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni, in una delle quali perse un’amica che aveva incontrato nel campo. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania.

Venne liberata il 1º maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück che fu liberato dall’Armata Rossa. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i 25 sopravvissuti. Al rientro nell’Italia liberata, visse inizialmente con gli zii e poi con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia.